CAPITOLO 4

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Sometimes you tell the day / By the bottle that you drink


Sistemò lo scatolone sul sedile del passeggero e lanciò la borsa sul tappetino. Silvia e Oscar bisticciavano, le cinture di sicurezza slacciate.

«Falso.»

«Vero.»

«Falso!» replicava Oscar, le labbra tremolanti.

«Vero» ridacchiava Silvia con le cuffie dell'mp3 ben calzate, eppure le orecchie drizzate a sentire il mondo esterno.

«Ragazzi, le cinture.» Claudia strinse le palpebre. Andare in letargo sei o sette mesi e lasciare il resto al diavolo, e a Marco! Figuriamoci, nessuno dei due se la sarebbe cavata.

Riaprì gli occhi, davanti a sé nient'altro che il fiume di asfalto verso la palazzina in fondo: casa, letto, birra.

«Silvia dice che non posso guardare il cartone stasera.»

«Ne ha già guardati due dalla zia!»

Sicuro, perché Renata si affidava ciecamente al potere di intrattenimento della televisione da quando Giulia aveva tre mesi.

«Ehm, se ne hai già guardati due, tesoro...»

«Erano cose da femmina, mamma!»

La sorella intervenne pronta. «Giusto, ti ci vuole roba da maschio così impari qualcosa di utile, tipo un grido di guerra, anziché le lagne che fai sempre.»

Oscar cominciò come da copione a piagnucolare. «Non è vero.»

Claudia strinse il volante e premette con troppa decisione l'acceleratore. La macchina ruggì ma non si mosse, inchiodata in una scomoda posizione in doppia fila mentre la vita e le altre macchine scorrevano indifferenti e un po' seccate.

«Silvia, per favore, smettila di sfogarti su tuo fratello. Lo sai, è un'acqua cheta che prima o poi scoppierà.»

Sua figlia ridacchiò proprio come Marco. «Voglio vederlo.»

«Adesso basta, Silvia.»

«Mamma, perché non prendiamo l'auto di papà? Questa non va mai» ripeté per la milionesima volta Oscar con il tono di chi ha trovato una soluzione intelligente prima degli altri.

La sorella sbuffò. «Uffa, ancora con 'sta domanda?»

Claudia stritolò la marcia. «Perché soltanto papà può guidare la sua preziosa Audi aziendale; se lo faccio io e per sfortuna ci fermano, i vigili mi sgridano e l'assicurazione non risarcisce i danni.»

«Mamma, posso andare alla festa di Halloween venerdì?» chiese di nuovo Oscar speranzoso, prima ancora che la madre terminasse di rispondergli.

«Non è domani, giovedì?» Girò la chiave nella toppa dando un attimo di tregua a se stessa e all'auto.

«Non quella della zia, mamma, quella al parchetto, quella che ti ho detto prima, mi ascoltavi? Posso? Ci vanno tutti.»

"Tutti" per il piccolo Oscar erano i suoi due migliori amici nonché compagni di classe: aggiungendo i genitori e la sorella si ottenevano pressappoco trenta persone, il suo mondo intero.

«Vai già a quella della zia domani.» Claudia afferrò con uno scatto la chiave nel quadro, prendendo l'auto di sorpresa. Il motore si avviò, per spegnersi un attimo dopo.

«Non è divertente, e poi non conosco nessuno» rispose una vocina anche più piccola del solito.

«Oscar cuor di leone» cantilenava Silvia, che si era già trattenuta fin troppo. «Vincerai un premio per il tuo coraggio. Guarda che non te ne starai incollato alle mie gambe tutto il tempo!»

«Silvia, basta.»

«Ti annoi anche tu, mica solo io. Non ti voglio attaccato a mo' di cozza come al solito.»

«Silvia, smettila!»

Finalmente i ragazzi la sentirono.

«Oh, perché sgridi sempre me? Ha cominciato lui.»

«Mamma, posso andare alla festa?»

«Vedremo.»

Insieme, in coro:

«Uffa, dici sempre 'vedremo' e poi è no», e «a lui concedi sempre tutto».

«Ora basta, dobbiamo andare a fare la spesa.»

L'auto gracchiò immobile quando Claudia girò di nuovo la chiave. Al secondo tentativo, imprecò contro quella maledetta automobile che non voleva partire e tirò pugni al volante. Maledetta auto, e maledetto Marco che si rifiutava di ammettere che bisognava portarla dal meccanico.

Intanto sul sedile posteriore era scoppiata la rivolta.

«La spesa? Non voglio!»

«Mamma, come!? Devo ripassare per domani, altro che venire con te!»

«Ho fame.»

«Non potevi fare la spesa prima di venire a prenderci?»

«Voglio le tagliatelle al ragù!»

La mamma urlò. «No, non potevo, perché vostra zia doveva cucinare la sua cena a quattro portate, e sono uscita tardi!»

Nello stretto abitacolo, le parole rimbalzarono come frustate sulle orecchie.

Oscar era sempre il primo a zittirsi, rannicchiandosi come un riccio si ficcava in bocca il colletto della giacca, succhiandolo come un ciuccio. Silvia invece era più tenace; era come lei, a parte quelle maledette fossette, le stesse fossette di Marco, le "fossette della tristezza" che le sbattevano in faccia il disprezzo di suo marito e sua figlia.

«Avresti fatto più in fretta senza di noi, mamma, te lo devo spiegare io?»

«Avrei tardato e vostra zia si sarebbe arrabbiata.»

«Quindi dobbiamo soffrire noi perché tu non hai il coraggio di affrontarla.»

Il volante scricchiolò tra le dita. «Con chi altri state se faccio tardi?»

«Se tu non facessi tardi...»

Claudia prese un profondo respiro, in gola ardeva saliva di fuoco. Diede un colpo di tosse per liberarsene. «Non è colpa mia.» Suonò lagnosa come Oscar, e più inaffidabile.

Silvia inforcò le cuffie e alzò il volume del lettore mp3. «Se prendo un brutto voto è colpa tua.»

«Non prendi mai brutti voti, Silvia»

«Questa volta sì, lo sento.»

Stavano insieme da neppure trenta secondi e già erano sul piede di guerra. Perché non poteva essere una madre pacata e amorevole, di quelle descritte nei libri, dotate di tranquilla autorevolezza, discorsi saggi e dialettica educativa? Capace di trovare altri argomenti di discussione anziché l'appuntamento con la parrucchiera, cancellato perché lo stupido corso di teatro di Silvia era stato spostato dall'abitudinario venerdì all'unico mercoledì in cui Claudia aveva incastrato la sistemazione dei colpi di sole che ormai colpivano soltanto per la ricrescita.

Rimise la marcia, col gomito sfiorò la scatola sul sedile del passeggero. Conteneva nuovi amanti di carta con cui rintanarsi da sola in camera da letto, dopo un bicchiere o due. Qualche romanzo rosa, un manuale di training autogeno, una guida di New York e una di Vancouver anche se non aveva mai viaggi in programma. Niente di impegnativo, era sempre troppo stanca per leggere, comprare però le riusciva facile.

Claudia riuscì finalmente ad avviare il motore e l'auto li condusse verso il supermercato attraverso il buio e il traffico della placida cittadina alle sette di sera. Guidava in fretta, prima che il supermercato chiudesse, le lamentele stanche dei ragazzi sul sedile posteriore, lo stomaco vuoto, le scarpe scomode ai piedi e una borsa voluminosa che non metteva in ordine da un pezzo, mentre suo marito era in giro con la sua bellissima collega.

Un giorno come un altro.

Finora.



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