CAPITOLO 15

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Better stand tall when they're calling you out


Il suono fastidioso della sveglia di sua moglie interruppe il sonno, Marco come ogni mattina si girò dall'altra parte. Claudia si alzava un'ora e più prima di lui, chissà perché. Il letto era piacevolmente caldo e morbido, come a casa, e fu facile riaddormentarsi nell'attesa della sveglia giusta, la sua.

Di nuovo la sveglia, rotolò più lontano. Trascorse un tempo indefinito. Il sonno, pesante e invincibile, lo prendeva e la sveglia ogni volta lo strappava. Esasperato, bofonchiò pietà alla moglie. Lei però non c'era, doveva essersi alzata e aver dimenticato la sveglia, così lui si allungò.

Strano, era più vicino di quanto pensasse al comodino di sua moglie. Mise a tacere la sveglia e ripiombò con un sospiro di piacere nel suo sonno senza sogni.

Passò un minuto, forse un'ora, lo richiamarono alla realtà alcuni rumori noti. Si svegliò di colpo. Sant'Iddio. Era il giorno dell'audit. Il grande giorno. In cui avrebbe dovuto salvare la Gabi Group e quasi duecento persone. Prese un respiro, due, sentiva sudore sui palmi.

Perché il cellulare non suonava ancora per svegliarlo? Cos'era quella roba ai lati del viso, capelli? Che razza di scherzo, mettergli una parrucca mentre dormiva. Tirò i crini incriminati, sussultò dal dolore. Li avevano incollati. Oh, quando sarebbe tornato a casa li avrebbe...

L'ambiente intorno lo inchiodò al materasso. La finestra spalancata da cui entrava freddo e luce accecante, le tende azzurro cenere cucite da sua madre. Gli armadi gemelli, il segno nell'anta lasciato dalle scale quando era scivolata ai traslocatori. I comodini coordinati, uno composto e vuoto, l'altro sommerso di abiti, un paio di libri e la sveglia di Claudia.

Era a casa. Aveva sognato di trovarsi a Roma? Che giorno era?

Cercò il cellulare senza trovarlo, forse lo aveva appoggiato da qualche parte la sera prima e non lo ricordava. Vedeva i contorni sfocati, come se il sonno impastasse le ciglia, o la vista fosse improvvisamente peggiorata. Forse gli servivano davvero degli occhiali.

Si sfregò le palpebre: niente, il mondo restava poco nitido. Acchiappò la sveglia che stremata aveva smesso di urlare. Gli enormi numeri retroilluminati dichiaravano con chiarezza: trenta ottobre, giovedì. Otto meno un quarto.

Giorno giusto, luogo sbagliato! Scostò i capelli dal viso, ricaddero disobbedienti, li tirò all'indietro con una smorfia di dolore, si alzò. Perché diamine indossava la tuta di Claudia, perché il mondo era così alto?

«Mamma, dobbiamo andare.»

Sicuro, doveva arrivare a Roma in un'ora, come fare, magari un volo del mattino, e intanto Lia prendeva tempo, che figura, fare tardi proprio l'unico giorno e con l'unica azienda che non poteva permetterselo. Eppure ieri sera era a Roma.

«Mamma» ripeté Silvia entrando nella stanza. «Hai dormito troppo.»

Marco aprì l'armadio in cerca di vestiti. «Mamma non è qui.»

Continuava a vedere sfuocato. La tensione e lo stress stavano avendo la meglio su di lui e la sua vista, proprio oggi?

La sagoma di Silvia rimaneva sulla soglia della camera. «Non metti gli occhiali?»

Occhiali? Lì, vicino alla sveglia. Veri, pesanti, reali. Li inforcò con il fiato corto. Il mondo si rivelò in ogni dettaglio, come se le lenti di sua moglie fossero fatte apposta per lui. Come aveva fatto lei a scoprire la prescrizione del medico e il numero di diottrie che gli servivano? Per non parlare della montatura: che aveva combinato quella matta, aveva richiesto all'oculista una montatura da donna, come la sua? C'era forse stato uno sconto in negozio? Pazienza, non c'era tempo adesso per preoccuparsene, ci avrebbe pensato dopo l'audit, avrebbe chiesto a Claudia di tornare dall'ottico e far cambiare la montatura.

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