CAPITOLO 46

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Well it's hard to be strong / When there's no one to dream on 


Trovò il suo cellulare ancora spento, questa volta Marco rise allegro: appena gli capitava l'occasione, doveva insegnarle il proprio PIN.

Subito dopo invitarla a fare un viaggio a Roma, solo loro due, poi un altro con i ragazzi. Poi Francia, o Maldive. Dimostrarle che si poteva divertire da sola a Roma, però si sarebbe divertita ancora di più con lui.

Prima di ogni altra cosa però, aiutarla.

La riunione con Zante era prevista per le undici, inutile illudersi che lo scambio tra lui e sua moglie terminasse prima. Claudia non si sarebbe presentata in ufficio. Toccava a lui. Doveva farle fare una splendida figura.

Niente jeans. Niente felpa. Un professionale tailleur, questo nero: perfetto. Al diavolo se si vergognava a indossare una gonna, era nel corpo di sua moglie e nessuno lo sapeva, nessuno l'avrebbe giudicato, e anche se fosse che importanza aveva, purché aiutasse Claudia.

La cerniera minuscola richiese pazienza da contorsionista e le calze di nylon gli diedero una delle peggiori sensazioni mai provate, come un serpente che gli inghiottisse le gambe per stritolarlo attorno ai fianchi.

Scoprì che la più semplice coda di cavallo lo metteva in difficoltà, perciò pettinò i capelli a lungo e con cautela come aveva visto fare a sua moglie e li gettò sciolti dietro le spalle.

Dopo un paio di snervanti tentativi, riuscì a stendere il mascara omogeneo sulle ciglia. Accettò la sconfitta a tavolino con eyeliner e ombretto, tuttavia riuscì ad applicare un velo di rossetto senza sbavare. Una notte, tanti anni prima, aveva fatto lo stesso su quelle labbra, allora però non gli appartenevano e non era stato per una riunione di lavoro.

In salotto sedeva Oscar, la cui maglietta spuntava da sotto la felpa allacciata storta e sopra i pantaloni dalle tasche risvoltate.

«Mamma, guarda, mi sono vestito da solo!»

Marco lo abbracciò.

«Mamma, smettila, ho fame!»

Infilando la maglietta del figlio nei pantaloni, Marco non poteva fare a meno di stingerlo. Perché non li aveva abbracciati ogni mattina, perché se ne stava a letto finché non li sentiva uscire di casa? Il silenzio della casa vuota che aveva sempre trovato meno stancante era anche meno divertente.

Silvia apparve dalla cucina con due tazze di latte fumante. Ne pose una davanti a Oscar pregando con poco garbo il fratello di spicciarsi, e stava per sedersi a consumare la propria quando la mamma la strinse in un abbraccio costrittore.

«Sei cresciuta» mormorava guardando la figlia come se la vedesse per la prima volta. Gli somigliava, perfino il broncio pensieroso.

La figlia lo scrollò via per concentrarsi taciturna sulla colazione e non pronunciò più una parola.

«Adolescenza, passerà» disse Marco.

Sedette in mezzo ai figli con una tazza colma di caffè, sentendosi completo come un puzzle i cui pezzi fossero stati sparpagliati per mesi, e ora ne mancasse soltanto uno per essere terminato. Qualcuno che occupasse la sedia di fronte a lui e bevesse il tè che Silvia aveva portato in tavola per la mamma.

«Bevi il caffè?» chiese Oscar mentre anche sua sorella alzava lo sguardo. «Come papà?»

«Sei arguto, Oscar» rispose Marco.

«Cosa vuol dire 'arguto'?»

«Mamma, finito: possiamo andare?»

«Un attimo, Silvia.»

«Cosa vuol dire 'arguto'?»

Silvia sbuffò. «Cornuto. Adesso andiamo.»

«Cosa ti ha fatto tuo fratello per trattarlo così male?»

«Non si muove, mamma, faremo tardi come ieri.»

Marco cercò dove fosse la bucolica felicità di un attimo prima. «Siamo perfettamente in orario.»

«Lo dicevi anche ieri e invece mi è toccata la ramanzina della Doresca.»

«Ti ha messo una nota?» indagò il padre con delicatezza. Sua figlia, come lui, detestava non essere perfetta.

«Uffa, che importa?»

Sua figlia sembrava più irritabile del solito. Che fosse... il ciclo? Possibile? Aveva soltanto dodici anni. «Hai preso una nota?»

«No, mamma.» Silvia sospirò tragica.

Marco ingoiò il caffè. «Sei brava, nessun insegnante può darti note.»

In risposta lei scosse la testa negando l'evidenza.

Sparecchiò, un po' confuso. Che cosa le prendeva? Claudia avrebbe intuito cosa innervosiva tanto sua figlia?

«Mamma, posso andare alla festa al parchetto dopo la scuola?» chiese Oscar alzandosi e facendo cadere a terra una cascata di briciole.

«Quale festa?» chiese Marco mettendogli in mano scopa e paletta.

«Non dirmi che hai dimenticato!»

Il padre irremovibile gli indicò i resti della colazione sul pavimento. Il bambino si mise impacciato a raccoglierli spiegando speranzoso:

«La festa di Halloween al parchetto. Fabio e Nicola ci vanno».

Silvia li chiamò dalla porta, la cartella già in spalla. «Oscar, mamma ha già detto di no.»

Altalene da spingere, estranei che tentavano di fare conversazione, un mucchio di tempo perso ed e-mail non lette che si accumulavano. Non aveva mai portato i suoi figli al parco, lo faceva Claudia.

«Va bene, cerco di venire a prenderti in tempo.»

Le grida di vittoria di Oscar furono nascoste dalla scopa che cadeva a terra e le esclamazioni incredule di Silvia.

«Avevi detto di no, gli concedi sempre quello che vuole!»

Marco le mise un braccio sopra la spalla. Era calda, sottile, un colpo di vento del mondo là fuori poteva abbatterla con facilità. La strinse a sé. «Puoi venire anche tu.»

Silvia si liberò della sua stretta. «Devo andare a teatro.»

«È davvero importante per te.»

«Più di ogni altra cosa al mondo.»

Marco drizzò le spalle. I suoi figli erano fiori complessi chenascondevano sotto ogni petalo una nuova sfaccettatura, e lui aveva appena capitoun pezzettino di sua figlia, da solo, senza aiuto. Se non fosse apparso giàabbastanza strambo agli occhi dei propri figli, avrebbe ballato nel bel mezzodel salotto con una tazza di caffè vuota in mano e la scopa nell'altra. 

Canzone Per DueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora