CAPITOLO 13

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Another night is falling / And now my heart is calling you back to me 


La musica soffusa nell'atrio riportava in un mondo quieto e color crema, piacevolmente opposto allo smog caotico della strada. Dal bancone della reception lo salutarono con cenni garbati, in un angolo un ospite sedeva al pianoforte e suonava qualche nota di Bach, forse per rilassarsi o forse per far colpo sulle due ospiti dalle gambe chilometriche al bar, dove un ragazzo in divisa agitava lo shaker con prodezza e rifocillava i bicchieri di superalcolici prima di cena.

Marco si avvicinò agli ascensori. Una coppia in luna di miele, a braccetto e indistricabile, si avvicinò ridacchiando. Salutarono appena, concentrati a baciarsi.

Li lasciò salire per primi nonostante le loro insistenze, deboli in verità. Sognava il letto. Mentre attendeva l'ascensore successivo lasciando vagare lo sguardo sull'atrio ampio e lucido dell'albergo, un atrio come tanti già visti, Lia comparve da un corridoio. Indossava una tuta nera con strisce fosforescenti, i capelli lisci come spaghetti di seppia stretti in una coda, un asciugamano sulle spalle. Beveva a canna da una bottiglietta d'acqua.

La salutò, facendola saltare come una cavalletta. «Un po' di ginnastica per stimolare l'appetito?»

«Aiuta a scaricare la tensione» spiegò lei avvitando il tappo così forte da accartocciare la bottiglia.

«Sei preoccupata per domani? Andrà tutto bene, dobbiamo soltanto fare...»

«Il nostro lavoro» concluse lei. Asciugò svelta il sudore, appallottolò l'asciugamano dietro la schiena e cercò intorno a sé una via di fuga. Si comportava come se si fosse trovata nuda nel mezzo della reception, anziché accaldata e in tuta davanti al capo.

Marco non si spiegava tanto nervosismo. Sulla colonnina degli ascensori finalmente lampeggiò lenta una freccia che puntava verso il basso.

«Credevo uscissi a comprare regali per la tua famiglia» disse Lia costringendosi a interrompere il silenzio e l'imbarazzo.

«Infatti.»

«Ah.»

Lui notò lo sguardo di sottecchi verso le proprie mani vuote. «Ho trovato una poveraccia dall'altra parte della strada. Ridi pure, è stata una cretinata.»

Lia invece si complimentò due volte, finendo per mettere in imbarazzo anche lui. Marco cambiò argomento e quando arrivò l'ascensore colse la scusa del cellulare che suonava per lasciare che Lia salisse da sola.

«Tra mezz'ora nella sala ristorante? Vorrei davvero rivedere gli appunti» gli chiese prima che le porte la nascondessero.

Cedette sbrigativo e si spostò verso la vetrata, dove sperava che il telefono prendesse meglio.

«Benvisi, how are you

«Ehilà, Quarti...» sospirò.

Due telefonate in tre ore. Una vera sfortuna.

«Dove sei, in uno dei posti che ti ho suggerito?»

«Ci sto andando» mentì scostando la pesante tenda dalla finestra. Inghiottita ormai dal buio della sera, la strada era d'inchiostro e le insegne risplendevano gagliarde. Dall'altra parte la commessa della profumeria abbassava le saracinesche e correva alla festa. Della zingara più nessuna traccia.

«Sbrigati, o non troverai posto.» Quarti grugnì. «Prima che tu vada però, one question: di che partito è il tizio nel consiglio d'amministrazione della Mida?»

Lasciò la tenda, che ricadde floscia a terra. «Non saprei, non mi interesso di politica.»

«Peccato. Sono qui a cena con degli amici e stavo parlando con il presidente della Regione che mi chiedeva se il Biondi che vai a trovare è lo stesso che conosce lui.»

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