CAPITOLO 56

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We can pack up our old dreams and our old lives / We'll find a place where the sun still shines


Federica minacciò il licenziamento con un sms verso le due. Marco lo lesse un'ora dopo, sotto un cielo color perla carico di nuvole gelate. Rimesso in tasca il telefono con dita intirizzite, tornò a guardare Oscar. Come previsto dalla pediatra, si era ripreso grazie a una coperta calda e un'ora di chiacchiere su carte di guerrieri e magie durante la quale Marco lo aveva ascoltato paziente. Adesso suo figlio giocava ai margini di un branco di altri quindici bambini nel parco.

Il programma era di alzarsi di tanto in tanto dalla panchina gelata per gironzolare solitario tra alberi spogli e cestini ammaccati da cui penzolavano annunci di cani e oggetti smarriti. All'arrivo al parco però era stato avvicinato da tre donne, madri dei bambini che giocavano più in là con Oscar. Le conosceva più di nome che di viso.

«Non ci aspettavamo di vederti» gli dissero con grandi sorrisi. «Hai finito presto gli impegni del lavoro?»

Annuì senza dettagli, e le altre cominciarono a chiacchierare allegre.

«Venerdì, finalmente!» Elisa, madre di Nicola e due gemelli di quattro anni, sospirò. «Sono stremata.»

Marco non ebbe alcuna difficoltà a crederlo mentre uno dei gemelli tentava di ingoiare una manciata di sassi e la madre interveniva con la fluidità di un gatto e la tranquillità di un santo.

«Oscar sta bene? Nicola ha detto che è uscito prima.»

«Sì, grazie. Credo che avesse bisogno di un po' di riposo e qualche coccola.» Si sorprese della sua stessa confessione.

Al contrario le mamme sorrisero. «A volte ne hanno bisogno. Corriamo per fare tutto e ricordare tutto, astucci e album da disegno e feste di compleanno, e scordiamo le cose più importanti.»

Secondo quella tesi, lui risultava il più smemorato mai esistito.

«Tua cognata ci raggiunge per la festa?» chiese una delle madri.

Renata al parco, con le nuvole in cielo, l'aria fredda, e altri ragazzini intorno? «Non credo. Oggi si riposerà, dato che riesco a badare ai miei figli e le resta soltanto Giulia.»

Se aveva imparato qualcosa sul linguaggio delle donne, allora poteva interpretare i vaghi cenni e mormorii come un sollievo generale all'assenza di sua sorella. La conversazione riprese, come un ruscello che superata una scomoda strettoia possa gorgogliare liberamente.

«Peccato che Ognissanti caschi di sabato, niente ponte» osservò la madre di Fabio, della quale Marco non riusciva a ricordare il nome e aveva appena scoperto che suo marito era lo stesso Daniele per il quale Claudia si indebitava al lavoro.

«Vero, Barbara, peccato che nel mio caso non cambierebbe nulla, mio marito sarà di turno stasera e domani e dopodomani» sospirò una donna che lui conosceva ancora meno delle altre.

Denis, la madre del ragazzino che correva più di tutti nel parco, e moglie di Tommaso il vigile secchione, insegnante di inserimento di marce nella vecchia Citroën.

«Tommaso ha detto di averti incontrato davanti a scuola, eri nei guai con la macchina.»

Si sentì avvampare. Non solo grassone e secchione, anche pettegolo! «Colpa di mio marito che non la porta dal meccanico.»

Denis allacciò meglio la giacca, un vecchio bourbon verde militare. Il vento le strappava di continuo un ciuffo castano dalla coda. «Quello che mi ha detto anche Tommaso.»

«Gentile.»

«Sì, sono d'accordo.» Denis sorrise da sotto le occhiaie. «Certe volte mio marito è uno stronzo.»

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