CAPITOLO 3

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Another place where the faces are so cold / I'd drive allnight just to get back home


I ragazzi fremevano sulla soglia. Il broncio di Silvia era pericolosamente marcato, le cuffie del lettore mp3 già in mano. Aggrappato alla madre come un naufrago allo scoglio più saldo che conosca, Oscar mugugnava una preghiera.

«Sì, tesoro, ora andiamo» rispondeva Claudia accarezzandolo.

«Questo ragazzo parla sempre a voce bassa e frigna in continuazione» commentò Renata come se il nipote non potesse comprenderla, spalancando la porta sul vialetto con più smania perfino dei ragazzi.

«È timido.»

Tutte le sere la stessa storia. Se fosse andato Marco a prendere i figli, evento miracoloso anche soltanto a pensarci, sua sorella non avrebbe parlato con tanta asprezza. A quarantun anni aveva imparato un unico lavoro, campare di rendita, da ragazza con suo padre e da donna con Gianni. Un partito perfetto: alto, belloccio, una coupé in garage e un'attività da ereditare.

La moglie gli riconosceva un unico difetto, scoperto troppo tardi: sperperava soldi in stupidaggini come il televisore al plasma e l'abbonamento allo stadio. Renata quindi doveva chiedere al fratello aiuto per le spese "essenziali": il lampadario di Murano e l'asciugatrice da tremila euro, che però lasciava tracce di ammorbidente, perciò meglio non adoperarla. L'ultima trovata era un gazebo di cemento sotto il portico, proprio come quello della vicina. Sua cognata detestava l'aria aperta e detestava ancora di più la vicina.

Marco doveva aiutarla, era il fratello maggiore, spettava a lui in quanto maschio lavorare. Papà lo diceva sempre, e dalla sua morte ci aveva pensato mamma a ricordarglielo.

"Povera Renata, chi penserà a te quando io e papà non ci saremo più" diceva la signora Benvisi mentre stirava. Il ferro sbuffava in alto il vapore, circondandola di un'aureola ustionante. "Marco, mi raccomando, la mia bambina."

Di solito a quel punto la sua 'bambina' più che ventenne chiedeva soldi, sua madre le indicava il portafogli di pensionata e guidava il ferro con maestria tra le pieghe.

Il fratello arrivava prima, chiudeva la borsa della madre e allungava alla sorella qualche banconota.

"Non ha un libretto di risparmio lasciato da tuo padre?" sussurrò una volta Claudia scostando la frangia dalla fronte sudata, mentre il marito tornava a sedersi accanto a lei.

"Serve per il matrimonio."

Non sarebbe andata così, ma lo avrebbe scoperto troppo tardi, quando suo marito aveva già saldato i conti della carrozza e del ristorante.

Renata salutava sventolando i soldi e usciva con Gianni, mentre la cantilena della signora Benvisi riprendeva. "Povera la mia bambina, chi penserà a te quando io raggiungerò il vostro povero padre? Mi raccomando, Marco, la mia bambina è tanto debole, da piccola sai che si ammalava sempre? Una febbre dietro l'altra."

"Tranquilla, mamma" rispondeva, e Claudia regolarmente tossicchiava.

Era stata fiera di lui un giorno soltanto, l'unico in cui Marco anziché rispondere con il solito "Tranquilla, mamma" aveva osato variare:

"Ci penserà Gianni a lei".

Il ferro aveva tossito una nuvola enorme. Era maggio, faceva caldo, le finestre chiuse per paura di un colpo d'aria e una bronchite. "Se a Gianni accadesse qualcosa? Se morisse? Se la lasciasse? Se la fabbrichetta andasse in bancarotta? Chi rimane alla mia povera bambina?"

Il figlio non aveva più contestato.

La signora Benvisi era morta in giugno, giusto in tempo per assistere al matrimonio della figlia sovvenzionato dal bravo fratello maggiore. Sul letto di morte, Marco le aveva rivelato che lui e sua moglie aspettavano un bambino.

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