CAPITOLO 51

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Now your picture's that you left behind / Are just memories of a different life


Il massimo apporto di Federica alla presentazione del progetto erano state una cornice rossa nella terza diapositiva, una virgola alla quindicesima e tre animazioni, poi eliminate.

Eppure era la sua presentazione. Il suo progetto. Nel quale aveva riversato il suo sudore e il suo impegno.

Marco si mosse sulla sedia, poi scorse Federica oscillare un foglio come per farsi aria. La busta dei benefit.

Con l'alito ustionante del proiettore contro il petto, si limitò a far scorrere le diapositive mentre la sua responsabile inventava di sana pianta, descrivendo dati che neppure aveva letto, elogiando prodotti che trovava repellenti.

Ai tempi infernali in cui riportava a Elio Quarti, quando doveva tappare i buchi causati dal vecchio raccomandato e salvargli la faccia nelle occasioni di rappresentanza, Marco sperava una cosa mentre imparava la pazienza: i palloni a furia di gonfiarsi prima o poi esplodono. Solo che né Quarti né Dante davano alcun segno di giustizia.

Alla decima diapositiva Zante pose una domanda che non aveva nulla a che fare con la presentazione:

«I profumi 'Stupore', foste voi ad occuparvi della loro pubblicità, mi dissero. Una decina d'anni fa».

Federica incassò. «Può darsi. Non saprei, non ero ancora qui.» Si volse verso lo schermo per riprendere il discorso.

«Un ottimo lavoro» continuò Zante fingendo di non rendersi conto che stava interrompendo. La luce al neon della sala si rifletteva sulle lenti degli occhiali, rendeva difficile interpretare il suo viso. «Denotava una perfetta ricerca di mercato, intuizione per le volontà del pubblico e anche azzardo quanto basta. Dissi a mio padre, allora a capo della Zante: 'Papà, dobbiamo riuscire a fare una pubblicità come quella'. Purtroppo lui non è vissuto abbastanza per essere qui oggi.»

«Mi dispiace» mormorò Marco.

«Anche a me» copiò Federica. «La NovaCom seguì quel progetto?»

«Così mi dissero.» Zante drizzò la schiena, di nuovo solida.

«Era un mio progetto.»

Si voltarono tutti verso di lui, Federica addirittura scattando come un cobra avvisti la preda.

«Me lo affidò Lara Merci. La tua predecessora» spiegò amabile a Federica.

«Già, tu sei abbastanza anziana da ricordare. Anzianità aziendale, intendo ovviamente.»

Marco non rispose.

Zante lo scrutava. «Quindi era lei l'artista?»

Aveva suscitato interesse, perfetto, però ora Marco si mordeva la lingua. Ricordava a malapena il progetto seguito da Claudia prima della maternità di Oscar. Sì, ricordava un premio cospicuo che lei aveva voluto impegnare in crociera sui fiordi, cancellata per via di Oscar e l'incidente con le nocciole. Sì, ricordava il nome del cliente ripetuto da Claudia fino allo sfinimento mentre costruiva la campagna promozionale, di tanto in tanto sua moglie lo pronunciava ancora con malinconia. No, non ricordava i dettagli della vittoriosa campagna, la strategia, le tecniche: ovvero ciò che interessava alla cliente.

«Vorrei che il mio prodotto raggiungesse la stessa sorpresa nel pubblico. Le coppette mestruali per lo più suscitano disgusto o vergogna, così come ogni argomento legato al ciclo, e io lo voglio scardinare.» L'intera sala ascoltava Zante Milani. «Mio padre aveva grandi idee, puntava già sull'energia e il riciclo quando il termine ecologia era sconosciuto. Diede all'azienda il mio stesso nome, perché io rappresentavo il futuro al quale voleva che la sua azienda tendesse. Anche io miro al futuro. Un futuro in cui le donne staranno comode nei propri panni e il mestruo non sarà un tabù. Il futuro di una società che le accetta, che riconosce il loro bisogno di assorbenti e pace. Un futuro in cui la mia piccola realtà emiliana crescerà abbastanza da diventare punto di riferimento, voglio esportare i miei prodotti, perché li voglio sicuri, comodi, e indispensabili.»

«È un'idea grandiosa» la interruppe Federica. «Le coppette il futuro.» Il pessimo slogan che il giorno precedente aveva criticato un miliardo di volte.

«Lei le usa?»

«Certo.» Mentiva splendidamente, bisognava riconoscerlo.

«Silicone?»

«Anche» rispose vaga Federica. «Claudia, va' a prendere del caffè per gli ospiti.»

Avrebbe preferito una lotta aperta, invece quella donna combatteva con armi invisibili. I sorrisi erano coltellate, i silenzi colpi di mortaio. Che lavoro di merda quello di Claudia!

Notò il tasto "rubrica" sul telefono della sala riunioni. Trovò il numero di Antonella.

«Sono io.»

«Claudia! Problemi?»

«Forse. Puoi portare quattro caffè, di cui uno decaffeinato? Per favore.»

Silenzio.

"Lo so, mi odi. Ti sto scaricando l'ingrato compito di servire da bere, capiscimi, ti prego, non posso allontanarmi adesso, Federica acquisterebbe vantaggio su Zante!"

«Un mese di pranzi come a Daniele?» disse Antonella in tono piatto.

Marco tirò il filo del telefono fino quasi a sganciarlo. «D'accordo.»

La risata di Antonella lo assordò. «Porca l'oca, scherzavo! Dammi cinque minuti e arrivo. Tre normali e un deca?»

Avrebbe voluto baciare la cornetta. Riprese con la presentazione e le idee per la campagna promozionale, alla diapositiva venticinque ormai rispondeva in autonomia alle domande di Zante e collaboratori. Federica ci aveva rinunciato al terzo quesito.

Quando arrivò con un vassoio carico, Antonella dovette subire l'irritazione del capo e un paio di insulti sibilati. A pochi centimetri da loro, Lucia Gatti sbirciò Federica scura in viso.

Andava bene, Marco teneva la vittoria in pugno.

Nella tasca il cellulare vibrò. Avrebbe smesso presto, ecco, visto? Oh no, di nuovo. Una volta, due. Proseguì imperterrito, nulla poteva fermarlo adesso.

Anche se il numero intravisto sbirciando nella tasca era "scuola elementare".

Claudia avrebbe risposto. Giocandosi la promozione.

Lui non era Claudia.

Trascorse un minuto, forse due, di quiete. Poi il cellulare sussultò, e Marco con lui. Quando Zante si voltò per discutere con i suoi collaboratori, sbirciò il messaggio.

Antonella.

La scuola aveva chiamato, Oscar, male, andare subito a prenderlo.

Inspirò a fondo prima di premere il tasto di cancellazione del messaggio.

Un attacco di allergia? Con la nocciolata era andata bene, possibile che adesso all'improvviso...

Intorno, sembrava che per nessun altro il mondo si fosse fatto così stretto e senz'aria. A parte Federica.

L'aveva visto guardare il cellulare, l'aveva visto sbiancare.

«Qualcosa non va, tesoro? Di nuovo la scuola?»

Tacere metteva l'altra in vantaggio, le dava il tempo di attaccare come una iena che rida prima di divorare la preda. Doveva trovare una scusa per andarsene, e in fretta. Una scusa che non riguardasse i bambini, che non fosse...

«Ancora i pidocchi? O i vermi?»

Marco stritolò il mouse fissando lo schermo, i colori, le coppette, il futuro delle donne, pur di non ascoltare quella stronza.

Prese un bel respiro. Di colpo sapeva cosa fare.

«No, Federica cara» disse ricambiando il sorriso. Zante lo ignorava come se non esistesse più. «Devo andare a cambiare la coppetta. Vogliate scusarmi.»

Zante lo seguì con occhi severi senza dire una parola, mentre Federica boccheggiava come schiaffeggiata.

Coperto dal tabù, Marco scappò all'ascensore, al parcheggio, all'auto, via le scarpe, forza sui pedali, il motore rombò.

Ricevette allora la telefonata da Claudia. 

Canzone Per DueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora