Capitolo 25

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Quando sei in isolamento il tempo scorre in un modo totalmente diverso. Sembra che rallenti fino a quasi fermarsi completamente. È come se mettessi in pausa la tua vita, mentre il mondo continua a girare fuori quella porta d'acciaio. Non ti rendi nemmeno conto di quanto tempo passa perché accendono e spengono quelle dannate luci a neon un po' come gli pare senza un motivo logico. Non c'è niente che ti possa suggerire cosa accade all'esterno. Nessuna visita. Nessun odore. Nessuna ombra tranne la tua. Nessun rumore. Sei rinchiuso nella tua bolla di cemento in attesa. C'è da impazzire. È una punizione psicologica perfetta. Perché laddove c'è quiete sei costretto a fare i conti con te stesso. Ed è esattamente la cosa che più temo in assoluto.

Una settimana esatta mi hanno rinchiuso, questa mattina hanno aperto la porta e con la solita aria strafottente mi hanno detto "È passata una settimana, Ferreiro, puoi tornare con le altre"

Adesso mi stanno scortando nel mio blocco, ho ancora la faccia indolenzita dalla lotta. Hierro mi ha spaccato il sopracciglio e il labbro. Ho sporto denuncia. Non servirà a un cazzo ma è il mio modo di rompergli i coglioni.

Appena entro in cella tutte si accorgono della mia presenza e mi accolgono come la vera eroina capace di rompere il naso a quel coglione di Hierro "Ehi, ti hanno fatto uscire finalmente!" Mi abbraccia Riccia.

"Devo ammettere che l'accoglienza è sempre unica in quel buco di merda" commento stringendola a me.

"Maca!" Esclama Fatima, Riccia si scosta e subito accolgo tra le mie braccia la ragazzina che ormai fa parte di questa famiglia.

"Cucciolina!" La saluto e affondo il viso nei suoi lunghi capelli corvini.

Mi guarda negli occhi e mi sussurra "Grazie" le strizzo l'occhio in segno d'intesa, lei mi regala un sorriso sincero.

Le prendo il viso tra le mani e le metto le ciocche dei capelli dietro le orecchie "Come stai?" Una domanda così banale e sottovalutata al giorno d'oggi. Una domanda che ormai è totalmente priva di significato dal momento che nessuno ascolta veramente la risposta. Ma dai suoi occhi lucidi capisco che era l'ultima domanda che avrei dovuto fare. Alzo lo sguardo e incrocio quello di Saray che scuote la testa per farmi capire di smettere di chiedere. La stringo più forte a me perché capisco che questa volta è grave.

"Fatima.. ci lasci un attimo sole?" Le chiede Saray mettendole una mano sulla spalla. La ragazzina esce accompagnata da Riccia.

Appena rimaste sole squadro Saray "Che cazzo è successo?"

"L'hanno stuprata davanti ai suoi occhi.. erano in quattro.. detenuti trasferiti solo per questo direttamente da Cruz del Sur" dice il tutto senza guardarmi in faccia. Senza riuscire a reggere nemmeno per un secondo il mio sguardo.

Mi incazzo come mai prima d'ora, sento che il sangue mi bolle nelle vene e tutti i nervi tendersi. Serro la mascella cercando di controllarmi il più possibile "CHE COSA? Saray che cazzo dici??"

"Non ha potuto fare nulla, nessuno poteva" spiega con un filo di voce "Era in un'altra stanza.. Sandoval l'ha fatta prostrare ai suoi piedi per poter liberare la ragazzina da quei animali" continuo a scuotere la testa incredula. È un incubo. Un gigantesco e tremendo incubo dal quale mi sveglierò presto.

Serro i pugni e attacco le braccia tese lungo il mio corpo "Mi state dicendo che mi hanno riempito di botte e ho fatto una settimana in isolamento per niente?!" Inutile. Tutti gli sforzi, le parole, gli avvertimenti, le alleanze, le ferite.. tutto inutile.

"No, non per niente" la sua voce riecheggia in me creando emozioni contrastanti. Non mi sono ancora girata. Sono sicura che è sulla soglia e che mi sta guardando.

C'era una voltaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora