XIV

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Quando avvertii lo sbattere della porta d'ingresso, sospirai, infinitamente sollevata di trovarmi finalmente sola.

Anche se rinchiusa in questa bettola di casa, preferivo crogiolare nella mia solitudine anziché tremare incotrollatamente a causa dell'orrenda sensazione di timore che mi incuteva la presenza insistente di Carl.

Come avevo potuto essere così ingenua?
Nei film tutto sembrava più facile, nei libri altrettanto.
Forse perché era la maggior parte delle volte interamente inventato, irreale.

Ma qui, nel mondo vero, la realtà era ben diversa.

Prima che venissi catapultata in quello ch'era divenuto l'incubo della mia vita, le mie uniche problematiche erano inerenti al mio andamento scolastico e alla presenza incostante di mia madre.
Tuttavia, conducevo una vita agiata e pressoché felice.
Avevo mia madre, una casa, Allison...non avvertivo alcuna mancanza.

In pochi giorni avevo scoperto la cruda realtà, l'altra facciata, spietata e crudele, della medaglia anche denominata "vita".
A poco a poco, essa si stava mostrando per quella che realmente era, vale a dire non tutta rose e fiori ma anche travolta e sfregiata da spine appuntite e velenose.

Una di esse, Carl, si era aggrovigliata al mio gambo, perforandomi, bucando il mio stelo, deturpando il mio corpo, inquinando la mia mente, intossicando il mio cuore.

Rimuginai e rimuginai provocandomi un doloroso nodo alla gola e un terribile mal di testa.

Un ulteriore conato di vomito mi costrinse a correre in bagno, rimettendo tutto fuorché cibo.

Con non poche difficoltà, mi sollevai dal pavimento sopra il quale ero inginocchiata e, dopo aver rischiato di cascare su quest'ultimo almeno una decina di volte, a causa delle mie gambe totalmente instabili, riuscii ad aggrapparmi al freddo marmo del lavandino issandomi in piedi.

I miei occhi immediatamente si incollarono all'orribile immagine riflessa nello specchio.

Il mio viso sembrava un dipinto a schizzi.
Lividi sui toni di un viola chiaro mischiati a macchie verdognole costellavano il lato destro del mio volto, cadaverico, dal colorito quasi esangue.
Il labbro era spaccato in più punti e bruciava da morire.
Entrambi i miei occhi erano gonfi e tumefatti, talmente da rendermi complicato mostrare il colore azzurro delle mie iridi, chiare come l'acciaio.

Mi tremarono le ginocchia come se all'improvviso mi fossero tolte le forze della vita.

Il cuore mi si ghiacciò e il respiro mi si mozzò.

Mi sentii quasi soffocata dal forte odore di muschio che emanava la maglietta di Carl.

Mi slargai il colletto di quest'ultima con irruenza e ferocia, graffiandomi il collo fragile e magro.

Serrai gli occhi, rabbiosa.

Non volevo più osservare quell'obbrorio abominevole che era diventato il mio viso, un tempo dalla pelle olivastra e non macchiato da tristi colori che una persona non dovrebbe mai scoprire su di sé.

Voltai il capo in direzione del piccolo box doccia, aprendone la porta iniziando a far uscire l'acqua calda dal soffione.

Mi sentii stanca.
Stanca, sia fisicamente per le percosse ricevute.
Stanca, sia mentalmente per la delusione, i rimorsi, i rimpianti di non essermi opposta con maggiore forza, con maggiore ardore.

Avevo così tanta rabbia repressa da provare il desiderio di picchiare qualcuno, o, meglio, picchiarmi da sola.

Ma, sembrava più facile restare ferma.
Si provava meno dolore.

 𝑀𝑦 𝐿𝑖𝑡𝑡𝑙𝑒 𝐹𝑟𝑎𝑔𝑚𝑒𝑛𝑡 𝑂𝑓 𝐻𝑒𝑎𝑣𝑒𝑛  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora