CAPITOLO 30

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ISABELLE

Il rumore sterile e agghiacciante del vetro che si ruppe segnò i miei pensieri descrivendo a pieno il mio stato d'animo senza dover usare parole inutili, le sue urla straziate dai sensi di colpa gli tolsero il fiato, o forse fu lui stesso a smettere di respirare e estraniarsi dal mondo per non credere alla realtà.

Non era stato quello il mio intento però, non volevo che si sentisse in colpa, bensì che capisse che c'è un buon motivo che mi ha portata a non fidarmi di lui, a volerlo allontanare dalla mia vita e a smettere di credere in quel "noi" che probabilmente non è mai esistito.

Volevo che smettesse di credere che mi sto comportando da vittima quando non ho bisogno della sua compassione per vivere bene, lui mi ha calpestato e purtroppo per lui, che mi chiami anche rancorosa, ma io non dimentico, io incamero ogni cosa e esterno tutto quando più ne necessito di sfogarmi perchè anch'io, arrivata ad un certo punto scoppio.

Mi sfioro l'addome con la mano libera sentendo ancora una volta ciò che provai quando ero incinta di Aidan, che ora dorme profondamente e sereno stretto al mio petto con il mio braccio che gli avvolge il corpo piccolo e tozzo da neonato; non so bene come spiegarlo, mi sento soltanto strana, sapere che hai in grembo tuo figlio, che stai a poco a poco dando modo al mondo di conoscere un'altra vita e regalare un respiro ad un'altra creatura. Cosa ci può essere di più bello del donare la vita?

I miei occhi verdi ancora appannati dal sonno percorrono il profilo del mio bambino che dorme abbracciato al mio collo, con i pugnetti chiusi, il viso corrucciato e quelle labbra a cuore schiuse da cui fuoriescono profondi sospiri tranquilli. Prima di lui credevo di vivere davvero, ma da quando è nato è diventato il mio ossigeno.

Con cura e attenzione sfilo il braccio da sotto il suo corpo piccolino per alzarmi dal letto, ieri sera alla fine Elisabeth e Abby lo avevano messo a dormire al centro del letto di Damon, appoggiato ai cuscini per aver la sicurezza che anche se si fosse mosso almeno non sarebbe caduto; così mi sono sdraiata affianco a lui e mi sono appisolata così, ancora scossa da ciò che è successo alla quale, questa volta per fortuna, Aidan non ha assistito.

Apro l'armadio per prendere una delle mie felpe e infilarmela giusto per indossare qualcosa, prima di scendere di sotto, anche se non ho poi tanta fame essendo ancora molto presto, saranno probabilmente le sei ma non riuscivo più a dormire quindi a questo punto mi sono alzata. Apro silenziosamente la porta per uscire dalla stanza e non svegliare mio figlio, chiudendola allo stesso modo per poi scendere le scale sentendo il freddo marmo dei gradini che mi raffredda i piedi nudi mentre scendo arrivando al piano di sotto dove mi accoglie un macello a dir poco sconvolgente.

Lo specchio del corridoio in pezzi, un vaso a terra con il terriccio che sporca il pavimento sparso un una chiazza ampia, e quando entro in salotto la situazione è ancora peggio. Il tavolino in vetro al centro della stanza completamente ridotto in tanti frammenti trasparenti, gocce di sangue sul pavimento bianco con striature nere, un caos che urla rabbia e dolore senza paura di essere visto.

E sento l'anima appesantirsi di tristezza quando lo vedo.

Dorme nella stessa posizione di suo figlio, con i pugni chiusi dalle nocche lacerate dai tagli ancora freschi che gli sporcano la pelle ambrata di sangue uno appoggiato al petto e l'altro, invece, ciondola dal divano dove si è addormentato ancora vestito. La camicia aperta che lascia scoperto il busto scolpito che sale e scende ad ogni profondo respiro, l'addome imperlato di sudore proprio come il suo volto che, anche mentre dorme, è imbronciato con la fronte leggermente aggrottata, su cui pende il ciuffo sudato e scombinato.

Gli occhi chiusi e contornati da folte ciglia e da occhiaie profonde che gli solcano la pelle, le labbra carnose e piene socchiuse che ogni tanto si muovono come se nella sua testa, fosse nel bel mezzo di uno dei suoi sogni strani o cose simili.

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