CAPITOLO 13

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ISABELLE

Si dice che Vincent Van Gogh era solito mangiare pittura gialla, sì, avete capito bene, vernice, acrilico ma solo ed esclusivamente quella gialla per un motivo ben preciso, ossia che secondo lui il giallo incarnava la felicità, l'allegrezza e la spensieratezza. Questo gli conferiva la convinzione che nutrendosi di questa sostanza colorata potesse portare dentro di sè queste sensazioni positive, così che la sua vita avrebbe preso una piega sempre migliore.

Ora, per quanto sarebbe bello e semplice poterci assumere una dose di felicità ogni tanto a nostro piacimento solo per stare meglio, questa sua maniera era considerata un disturbo o comunque una pazzia poichè era risaputo e lo è tutt'ora che la vernice è tossica per l'uomo. Causava a lungo andare conseguenze irrimediabili ma probabilmente a lui semplicemente non importava o non avrebbe continuato, probabilmente quel veleno per lui era più cura che tossina, un modo per scappare dalle sensazioni pessimiste per nascondersi nel suo mondo di sollievo.

Quel veleno era anche la sua felicità.

Questa cosa mi ha sempre fatto riflettere quando ogni tanto guardavo da piccina, mamma dipingere quando aveva tempo, posizionando con cura tutte le sue tempere e la tela in giardino per poi sedersi sullo sgabello e dar vita alla sua immaginazione. Al tempo ero ancora troppo piccola per ragionare su cose così importanti, certo, ascoltavo attentamente ciò che mia madre raccontava dei pittori che l'avevano sempre ammaliata con le loro opere, ma non mi ci soffermavo più di tanto.

Ad oggi però con il senno di poi sè ci penso, non importa quanto una cosa possa risultare folle, senza senso agli occhi delle persone, se ci rende felici è difficile farne a meno, così continuiamo ad ingerire rischiando di ammalarci.

A volte succede che il nostro "colore giallo", sia una persona e, esattamente come la vernice per Van Gogh, insieme alla felicità assumiamo anche un po' di veleno.

A quel punto, quel sentimento che le persone chiamano "amore", non sarà altro che un effetto collaterale di una dipendenza senza fine.

E io purtroppo ci sono passata, chi più di me può confermare una simile tesi?

E in questo momento, dopo essere riuscita ad uscirne, a liberare una volta per tutte il mio corpo da tutte quelle tossine, posso dire che alla fine la felicità non è l'unica ancora a cui bisogna aggrapparsi soltanto per stare bene perchè ad un tratto, finiremo sempre per accorgerci che dietro di essa si cela soltanto un enorme menzogna.

O almeno così credevo fino a qualche mese fa, quando ancora risiedevo a Londra, mentre ora ogni mia certezza sembra essere sfumata in eterno. Almeno però la sicurezza che tutto ciò tra meno di due mesi finirà, mi rassicura. Tra meno di due mesi ci sarà il matrimonio dei miei migliori amici, nonchè l'unico e vero motivo per il quale sono tornata a Miami, dopodichè porterò via mio figlio e tornerò a Londra con Cameron per ristabilire la mia quiete. Niente di troppo complicato.

Quando siamo tornati al porto ormai si erano già fatte le undici del mattino, l'incontro sarebbe stato a breve circa una o due ore dopo, ora non ricordo bene; ma in ogni caso ne a me ne a Damon sembra essere importato visto che mi ha riportata in hotel senza fiatare. Nessuno dei due ha detto una parola per tutto il tragitto, sia quello in yacht, che poi tanto lui a passato alla cabina di comando mentre io sulla prua dell'imbarcazione insieme ad Aidan, e nemmeno in auto quando la macchina dell'hotel è venuta a prenderci dopo che li ha avvisati del nostro rientro. E va bene così, non ho più nulla da dirgli ormai.

La costante agitazione di cosa stia pensando o facendo Cameron in questo istante mi ha assillata per tutto il tempo, persino mentre chiudevo il mio bagaglio e il borsone di mio figlio, ero talmente tanto persa tra i miei pensieri che non mi sono nemmeno a accorta che anche Damon stava rifacendo la sa valigia.

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