Versione 2 - 2° giorno di viaggio

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"Sai cavalcare?" mi chiede Orfeo.

Domanda ambigua. "Non sono mai salita su un cavallo prima d'ora" rispondo incerta osservando l'animale. Per fortuna sembra essere tranquillo. È docile e si fa accarezzare senza problemi.

"Allora dovremmo fare un po' di pratica." Orfeo afferra le brighe dei cavalli e li conduce verso un campo.

È troppo tardi per prendere la nave e l'unico modo di arrivare a Roma in tempo per il matrimonio è a cavallo. Non ci rimane altra scelta. Ne ha affittati ben due per andare più veloci e non farli affaticare più del necessario. Abbiamo lasciato l'ostello all'alba, camminando verso l'uscita in una pista ad ostacoli di persone ubriache accasciate per terra. Spero davvero di non vedere più un posto del genere. Piuttosto preferirei dormire nel bosco. Abbiamo camminato per altre due ore prima di trovare un posto per mangiare (ci siamo riempiti lo stomaco fino a scoppiare) e dove affittare i cavalli. È un luogo tranquillo in cui ci sono molti viandanti. Una specie di autogrill.

"Vieni ti aiuto a salire" dice Orfeo facendo un passo verso di me.
"Va bene" rispondo un po' agitata. Scusa, dico mentalmente rivolta al cavallo che dovrà reggere il mio peso per chilometri e chilometri.

Sento le mani di Orfeo afferrare saldamente la mia vita e sollevarmi, e la sua bocca darmi indicazioni su dove mettere i piedi, ma la mia mente è come annebbiata dal calore delle sue mani sul mio corpo. Mi piace questo contatto e, per quanto mi sforzi di negarlo, ne vorrei tanto di più. Anche stanotte quando si è girato sul fianco verso di me riuscivo a sentire il suo respiro sulla nuca che mi ha fatto venire la pelle d'oca e tenuta sveglia per gran parte del tempo. E quando mi sono girata a guardarlo, sembrava così indifeso e mi sono sentita un mostro per quello che gli sto facendo, per quello che ho intenzione di fare affinché le cose rimangano come sono, per il bene dell'impero, nonostante questo significhi pugnalarlo alle spalle. E mi sento uno schifo per tutto ciò, per questa lotta tra il bene e il male che si svolge costantemente nella mia testa, e non so davvero distinguere le due cose. Sembra che si fondino, si mescolino fino a diventare un qualcosa che è semplicemente sbagliato a prescindere.

"Ora prendi le redini" mi dice Orfeo passandomele. Mi sistemo meglio sul cavallo aggiustando il vestito che mi scopre tutte le gambe in questa posizione. Faccio come mi dice e il cavallo inizia a trottare senza fretta. "Brava, così. Tieni la schiena dritta." Mi segue per tutto il tratto di prova. Facciamo un paio di giri ed inizio a prenderci la mano.

"Pensavo che sarebbe stato più difficile." commento accarezzando il cavallo.

"La parte difficile deve ancora iniziare. Dovremo andare più veloce. A questa velocità non arriveremo mai a Roma in tempo."

"Come si fa a farlo andare più veloce?" gli chiedo con voce incerta, spaventata all'idea di cadere e rompermi qualcosa. Ho paura della velocità. Ho paura persino di guidare.

E il fatto che a quasi vent'anni io non abbia ancora preso la patente la dice lunga.

Trascorrono circa due ore durante le quali Orfeo mi insegna come salire e scendere dal cavallo, come farlo fermare, girare e trottare.

Prima di iniziare il viaggio vero e proprio, ci riposiamo e prendiamo delle provviste per il viaggio. Non sappiamo se incontreremo un posto in cui trascorrere la notte, men che meno uno dove poter mangiare. Per tanto, facciamo una scorta di acqua, panini e del cibo per i cavalli. Orfeo parla con dei viandanti, chiedendo indicazioni e consigli per giungere a Roma il prima possibile. Non svela mai il suo nome né le motivazioni del viaggio. Non gli crederebbero nemmeno se glielo dicesse. Quale persona del suo rango farebbe un viaggio così lungo a piedi, con abiti sporchi e in alcuni punti ridotti a brandelli dai rami, per giunta in compagnia di una ragazza che sembra una schiava.

Hanno uno sguardo strano quando incontrano il mio. È come se cercassero di studiarmi. Alcuni lo distolgono subito vedendo i miei occhi di colore diverso alla luce del sole. Sembra che abbiano paura che io gli possa rubare l'anima con un solo sguardo. Come una strega, secondo la definizione di Orfeo.

"Cosa intendevi con 'strega' la prima volta che ci siamo visti? La seconda, ad essere precisi" gli chiedo mentre attraversiamo un pezzo di foresta che dovrebbe farci sbucare sulla strada lastricata, più sicura e meno frastagliata per i cavalli. Ho tanta paura che possa sbucare un topo o un serpente da un momento all'altro e il cavallo allarmarsi al punto da farmi cadere all'indietro.
"Lo dissi per spaventarti. Non intendevo darti davvero della strega" precisa Orfeo. "Non ho mai creduto davvero in queste cose, nonostante io abbia assistito a dei riti di stregoneria. C'era una donna, con gli occhi un po' più scuri dei tuoi, che diceva di essere in grado di predire il futuro. La chiamavano Saga."

"Peccato che io non abbai questo questo potere. Ti avrebbe fatto comodo" gli dico scherzando.

"Nessun potere potrebbe aiutarci in questa impresa, Emma. Tantomeno il prevedere il futuro. Qualsiasi azione, in qualsiasi momento, potrebbe cambiarlo."

"Non hai tutti i torti."

Non mi aspettavo di certo da lui pensieri simili, soprattutto considerando l'epoca in cui ci troviamo. Finalmente sbuchiamo sulla strada lastricata e spingiamo i cavalli ad andare più veloce.

Non so che ore siano quando troviamo un fiume in cui i cavalli possano abbeverarsi e noi riposarci un po'. Ho le gambe indolenzite e la schiena che chiede pietà.

"Ti aiuto io a scendere" afferma Orfeo allungando le braccia verso di me. Porto prima una gamba dall'altra parte e poi mi lascio cadere. Orfeo mi prende appena in tempo in un abbraccio mozza fiato. Ci ritroviamo con il viso a pochi centimetri di distanza e le bocche che quasi si sfiorano. Quanto vorrei porre fine a questa distanza. Ma non posso.

Riprendo il controllo del mio copro e mi allontano da lui quanto basta per respirare. Non dice nulla, prendendo le redini dei cavalli e guidandoli verso l'acqua. Mi siedo su una roccia con il sole che picchia sopra la mia testa. Decido di stendermi riparandomi con una mano dal sole. Il mio stomaco brontola rumorosamente e sento la risata di Orfeo e il suo corpo avvicinarsi fino a farmi ombra parandomi dal sole.

"Hai fame?" chiede retorico.

"Più di quanto immagini" rispondo aprendo gli occhi. I suoi capelli sembrano farsi sempre più chiari sotto il sole, quasi bianchi. Mio malgrado li trovo stupendi e ho tanta voglia di toccarli e vedere se sono così morbidi come immagino.

Orfeo si siede di fianco a me, a debita distanza, poggiando la sua sacca tra di noi.

È notte e non abbiamo trovato una singolo ostello lungo la strada.
"Di questo passo dovremo accamparci nel bosco" dice Orfeo dando voce ai miei pensieri. "I cavalli sono sfiniti."

"Sì, è la cosa migliore da fare."

Scendo dal cavallo (questa volta senza il suo aiuto) e Orfeo provvede a legarli attorno ad un albero. Non ero mai stata fuori così a lungo di notte. Mi ritrovo a tremare non solo per il freddo, ma anche per ogni minimo rumore che potrebbe significare la giunta di un pericolo. Nonostante ci sia Orfeo con me, e di lui mi fido abbastanza, ho paura.

Mi siedo per terra facendomi spazio tra le foglie secche e poggio la schiena contro la corteccia dell'albero.

"Non si sta così scomodi dopotutto" commento guardando Orfeo accarezzare i cavalli nel dargli da bere. Al chiaro di luna tutto assume l'aspetto di un film in bianco e nero.

"Dormi, starò io di guardia" mi dice Orfeo.

"Anche tu hai bisogno di dormire" ribatto sistemando dietro l'orecchio una ciocca di capelli che il vento stava facendo svolazzare.

"Dormirò quando saremo al sicuro."

Perdersi un giorno d'autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora