Capitolo 21

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Durante il viaggio di ritorno a Pompei, Orfeo non mi lascia mai sola, tenendomi per mano tutto il tempo. Quando ci fermiamo in una locanda per pranzare mi corpo gli occhi con la frangia, vedendo a malapena ciò che ho davanti agli occhi.

Nascondo la sacca (contenente le pomate e le cose essenziali regalateci da Gaio) sotto il vestito, fingendomi incinta, accarezzandomi la pancia per mantenere la copertura. A quando pare gli uomini hanno grande rispetto per le donne incinte, distogliendo lo sguardo dal mio corpo ogni volta che incontrava la pancia. Non ho mai avuto così tanto rispetto prima d'ora.

La sera dormiamo in riva ad un fiume nascondendoci tra l'erba alta. È troppo pericoloso pernottare in un ostello, essere rinchiusi in una camera significherebbe essere una facile preda per chiunque ci riconosca. Abbiamo portato delle coperte per tenerci al caldo dato che le temperature calano sempre di più giorno dopo giorno, anche se non c'è la caviamo male a riscaldarci assieme.

"Sali sopra" mi ordina con voce roca uscendo dal mio corpo. Mi siedo su di lui con le ginocchia poggiate a terra ai lati del suo corpo. Le sue mani mi afferrano la vita guidandomi in movimenti lenti che gli permettono di affondare ancora di più dentro di me. La sua bocca mi bacia i seni dando piccoli morsi ai capezzoli che mi fanno sussultare.

Inizio a prenderci la mano e a muovermi autonomamente, aumentando il ritmo. Orfeo sposta le sue mani sui miei glutei aprendoli ancora di più. "Sì, così" sussurra al mio orecchio facendomi venire la pelle d'oca.

Dopo un po' mi fa sdraiare a pancia in giù posizionandosi dietro di me. Mi apre le gambe per poi affondarci la testa, leccandomi tutta mentre inizio a gemere senza controllo.

"Shh" sussurra, ma è un suono lontano che il mio cervello non riesce a processare, annebbiato così com'è dalla lussuria. Fa scorrere il suo membro tra le mie labbra, stuzzicandomi come se non ne avesse mai abbastanza, prima di entrare dentro di me centimetro dopo centimetro, lentamente, baciandomi il collo, chiedendomi se sto bene. Ha ancora paura di farmi male. "É bellissimo" gli rispondo.

Mormora il mio nome mentre viene reggendosi sui gomiti per non schiacciarmi. Volto la testa per incontrare i suoi occhi scuri in cui ho sempre saputo che prima o poi mi sarei persa.

Perdo presto la concezione del trascorrere del tempo, non ricordando più quanti giorni sono passati da quando siamo in viaggio. So solo che abbiamo finito le provviste e non ci sono locande nel giro di chilometri. Accecati dalla fame non ci resta che rischiare e fermarci per pescare. O meglio, Orfeo pesca. Io resto a riva a guardarlo, facendo da guardia ai nostri averi e ai suoi vestiti. Fa fin troppo freddo per bagnarsi. È ottobre inoltrato. Abbiamo anche raccolto un po' di legna per accendere un fuoco dove cucinare il pesce.

Ora i capelli di Orfeo non luccicano più al sole e da bagnati non assomigliano all'oro colato. Sono del colore della pece, di tutto ciò che è proibito.

Torna arriva reggendo due pesci tra le mani. Li mangiamo in modo rozzo, reggendoli con le ginocchia. Orfeo fa attenzione e lavare ogni spina dalla mia porzione, ricordandomi costantemente di mangiare piano.

"Non sono una bambina. So come si mangia" gli faccio notare.

"Non ne sarei così sicuro. L'altro giorno ti stavi strozzando con della zuppa" pulendomi l'angolo della bocca con il dito.
"Ero appena stata avvelenata e riportata in vita, ricordi?"

"Già, mi hai fatto prendere un bello spavento" risponde. Ingoia l'ultimo boccone. "È l'ora della crema." Gaio ci ha raccomandato di cambiare le bende e spalmare della crema una volta al giorno. Dopo aver rovistato nella sacca per qualche secondo, Orfeo tira fuori il vasetto e delle bende pulite, che tra l'altro abbiamo quasi finito. Ma non ne ho più così tanto bisogno, le ferite stanno guarendo molto meglio del previsto.

Aspetta che finisca di mangiare prima di iniziare il suo lavoro da infermiere. Mi siedo a gambe incrociate di fronte a lui, porgendogli i polsi. Scioglie la benda rivelando delle ferite in via di cicatrizzazione, e degli aloni violacei ogni giorno più sbiaditi del precedente. Lo sento deglutire mentre mi spalma la crema delicatamente. Odio questo momento, non tanto per il bruciore, quanto per il senso di colpa che si impossessa di lui e che non lo lascia in pace per qualche ora.

Riavvolte le bende sui polsi me li bacia. Poi tocca alle caviglia, a cui viene riservato lo stesso trattamento, e idem alla pianta del piede sinistro. Infine mi alzo il vestito rivelando i fianchi dove ci sono i lividi esteticamente peggiori.

Cerco di non sottrarmi al suo tocco, anche se mi fa malissimo al punto da farmi lacrimare gli occhi, ma li stringo forte impedendo alle lacrime di uscire.

"Ho quasi finito" mi avvisa.

"Non fa male" mento spudoratamente stringendo i denti.
"Bugiarda" afferma togliendo le dita dal mio fianco. Mi giro mostrandogli l'altro e sento già il dolore in arrivo prima che mi tocchi. Stavolta cerca di distrarmi avvicinando il mio viso al suo con la mano libera, baciandomi mentre con l'altra mano spalma la crema. Non mi lascia andare finché non ha finito, baciando ogni mio ansito di dolore facendolo sparire.

"Semmai metterò in piedi un altro piano di vendetta, sarà contro questi bastardi che hanno osato metterti le mani addosso" afferma senza guardarmi mentre chiude il vasetto per poi riporlo assieme alle bende nella sacca.

"Ti aiuterò volentieri" gli rispondo ironica. Penso che abbiamo entrambi imparato che la vendetta non porta a nulla di buono.

Perdersi un giorno d'autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora