Ritrovarsi

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Passai l'ora seguente immobile. Nessuno provò a dirmi altro si limitavano a lanciarmi occhiate di nascosto, apprensivi. Dovevo fare abbastanza pena. Contai nella mia testa i secondi, quando arrivai a 3600 mi alzai in piedi. "Non fare niente di stupido" si limitò a raccomandare mio padre in un sussurro, prima che iniziassi a correre verso la riserva, decisa a seguire le tracce del mio lupo da dove lo avevo lasciato.
Seguì le tracce tutta la notte, aveva deciso di spingersi molto a est, superando addirittura Seattle, aveva corso un bel po', finché non sentì il suo odore virare a sud, fino a tornare a dirigersi verso ovest. Ripercorrere i suoi passi mi aveva impiegato diverse ore, sapevo, speravo che lui fosse già a casa. Ero stata egoista a decidere di seguirlo, sapendo le ore di vantaggio che aveva su di me, sicuramente avrebbe preferito trovarmi a casa, ma non potevo accettare di rimanere con le mani in mano. Il cielo aveva appena iniziato a schiarirsi, quando sentì l'odore di Jacob più forte nell'aria. Lo trovai in una cavità tra le rocce, vicino ad un lago. Vederlo mi fece subito sentire meglio. Russava forte, doveva essere esausto. Tirai un sospiro di sollievo, sembrava stare bene, come era prevedibile, ma subito dopo sentì montare il risentimento, perché non aveva proseguito verso casa? Perché si era fermato a dormire sapendo che sarei stata in pena per lui? Avrebbe dovuto stringere i denti, tenere gli occhi aperti per venire ad abbracciarmi e cadere addormentato. Provai a non dargli peso, era Jacob, l'amore della mia vita, mio marito, e io ero il suo imprinting e sua moglie, mi avrebbe spiegato tutto e si meritava la mia comprensione, si meritava che non fossi egoista, che mettessi al giusto posto i suoi bisogni. Non ci riuscì, ero esausta e sull'orlo di una crisi di nervi che ricaccia indietro e mi maledissi per la voglia che avevo di stringerlo. Per un attimo pensai che fosse meglio non toccarlo, non svegliarlo, ma il bisogno di sentirlo vicino fu più forte. Azzardai una carezza timida dietro le orecchie, per poi trovare il mio posto nell'incavo delle spalle, tra la zampa e il costato. Ebbe un sussulto al contatto inaspettato, ma i suoi muscoli si rilassarono subito non appena riconobbero la mia presenza. Alzò la testa, ancora insonnolito, e la poggiò sulla mia, "Mi sei mancato anche tu" dissi affondando le mani nel suo pelo. Dopo qualche minuto mi diede un buffetto sulla guancia con il muso, invitandomi a spostarmi, sulle prime fui confusa, poi capì che voleva ritrasformarsi. Mi alzai e lo lascia allontanare, dopo due secondi davanti a me c'era un bellissimo uomo nudo, alto 1 e 90, dalla pelle bronzea, i capelli neri e dal sapore di casa. Mi prese tra le braccia e andò a sedersi con la schiena appoggiata alla parete, cullandomi. "Come stai?" mi chiese, io chiusi gli occhi, tutte le emozioni negative che avevano popolato la mia mente si sciolsero, finalmente stavo bene. "Credo che il mondo sia regolato da una specie di bilancia, e dopo tutta la felicità del matrimonio gli ultimi giorni sembrano voler pareggiare i conti" "Credo tu abbia ragione" sospirò lui "Avevi dubbi lupetto?" domandai io retorica, una punta di stizza nella voce, il minimo in confronto a quello che pensavo gli avrei gridato contro.
"Scusa per ieri" disse lui, e anche l'ultima punta di rancore rimasta svanì, "La mia reazione non è stata giusta, ne nei confronti dei miei fratelli, ne nei tuoi" "Con me non hai niente di cui scusarti" sospirai, ammettendolo a lui e a me stessa, avendolo vicino riuscivo a ragionare più lucidamente "anzi forse il contrario, sono diventata troppo appiccicosa, ogni tanto dimentico che sei adulto e che te la puoi cavare benissimo anche senza di me. Non sono in grado di lasciarti i tuoi spazi" "Non imparare mai a farlo" mi sussurrò all'orecchio, sorridendo, "Tuo padre era molto preoccupato, anzi tutti lo erano", "Lo so... ehi, aspetta, tu quando hai parlato con mio padre?" "Ero quasi a casa quando l'ho visto, mi ha detto che eri venuta a cercarmi, quindi ho fatto la strada all'indietro, ma avevo corso e non ce la facevo più, quindi ho dovuto fermarmi. Da quello che mi hanno detto non hai avuto la serata migliore della tua vita" "Jake è che non so che fare, mi accorgo che non stai bene e vorrei aiutarti, ma non so come" "Piccola è finita, questa notte ho capito tante cose, e ho lasciato andare. Ti giuro che andrà meglio, sarò diverso e ti darò finalmente la vita che ti ho promesso" il tono cercava di essere rassicurante, ma sentivo l'ardore con cui mi stava facendo quella promessa. Mi strinsi di più a lui, trovando riparo nelle sue braccia. Restammo in silenzio per un po', godendoci la complicità ritrovata, beandoci l'uno della compagnia dell'altro.
"A che pensi" chiesi ad un certo punto "Che sto bene, che mi è mancato tutto, e che forse è il caso di andare" sospirò ad alzandosi di malavoglia e posandomi a terra "i tuoi saranno preoccupati" ma io non mossi un passo. Sentivo in lui quella tranquillità che sembrava averlo abbandonato dal nostro ritorno a La Push e avevo paura che abbandonando la solitudine e la privacy che quel posto ci concedeva anche questa tranquillità sarebbe sparita. Sapevo cosa mi aveva promesso poco prima, e anche che lui era sinceramente convinto di ciò che mi aveva detto, ma avevo comunque avevo paura di interrompere il momento.
"Ci hanno regalato dei biglietti per le Mauritius" dissi dal nulla per distrarlo, per dissuaderlo dall'andare via. Si voltò a guardarmi, gli occhi nei miei, occhi in grado di scrutarmi l'anima, di leggere le mie paure, di smascherare il mio tentativo patetico di aggrapparmi a quel momento. Si avvicinò lentamente, mi guardò negli occhi, fisso, mentre le sue mani scesero sulla camicetta che indossavo e iniziarono a sbottonarla. Non ebbi la forza di dire nulla, era determinato. "Bimba, non ti lascio, sono qua e non me ne vado più". Quando anche l'ultimo bottone fu fuori dall'asola spinse la sua bocca contro la mia, bisognoso, quasi violento, e io non mi opposi, ero bisognosa di quel contatto dopo la notte appena trascorsa. Ero arrabbiata con lui perché se n'era andato, ero arrabbiata per le cose che doveva affrontare, per le cose che il destino gli aveva messo davanti, prima tra tutti l'imprinting con un maledetto vampiro. Sentì le sue mani scendere verso i pantaloni, sbottonarli. No, non ero arrabbiata, ero finalmente inebriata di lui e stavo bene come non stavo da giorni. L'uomo più gentile, bello, premuroso, forte, coraggioso del mondo era innamorato di me alla follia, e io lo ricambiavo, altrettanto follemente. Un suo bacio mi mandava in paradiso, un'ora senza di lui sembrava l'inferno. Mi sbatté contro la roccia, che al contatto con la mia pelle si sbriciolò. Era disperato nel cercare di avvicinare la sua pelle alla mia, disperato nel convincermi della sua presenza fisica e mentale, della stabilità che aveva ritrovato e che era pronto ad offrirmi. E io gli rispondevo che gli credevo, e che ci sarei stata per lui, che ero lì per aiutarlo, per farlo stare meglio, per renderlo l'uomo più felice del mondo, perché era Jacob, e quella felicità se la meritava più di chiunque altro.

Jacob e RenesmeeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora