Capitolo 4

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Camila corse più veloce che poteva, fin quando le gambe e i polmoni glielo concessero. Si accasciò sulle proprie ginocchia quando ormai era lontana dalla scuola, cercando di riprendere fiato. Non aveva mai corso tanto nella sua vita. Si guardò intorno, individuò un parco e decise di raggiungerlo. Si deterse il sudore da fronte e collo con un fazzolettino, beandosi del fresco che il luogo le offriva. Aveva bisogno di svuotare completamente la testa, così continuò a passeggiare, fin quando non arrivò ad un piccolo stagno. Lì, tra lo starnazzare di alcune anatre, si concesse di sedersi sull'erba fresca per ammirare la tranquillità della natura.

In poco tempo, si perse nuovamente nella sua mente. Le sue labbra ardevano per il bacio dolce e delicato che aveva appena ricevuto. Le sfiorò con le proprie dita, chiudendo gli occhi. Avrebbe voluto essere più serena per non scappare via da quella donna bella ed affascinante, sicura di sé. Avrebbe voluto godersi la sensazione in pieno. Le sarebbe piaciuto anche andare oltre, lo sapeva. Nella sua mente si creavano vari scenari, in cui l'allenatrice alla fine la prendeva e la scopava rudemente sulla propria scrivania, o sul divano del suo ufficio. Desiderava ardentemente sperimentare un'esperienza sessuale con un'altra donna, soprattutto se bella come la Lovato. Si rese conto di essere sessualmente eccitata, aveva il fiato corto e probabilmente anche il viso rosso. Si impose di darsi una calmata.

Non poteva accadere nulla del genere, no. Se suo 'zio' avesse saputo anche soltanto del bacio, sarebbero stati guai seri per lei. Sapeva che cosa pensava dell'omosessualità, era stato più che chiaro nel corso degli anni. Era un fottuto omofobo, convinto al cento per cento che il suo pensiero fosse l'unico che contasse. Camila non sapeva se l'uomo che si ritrovava come tutore avesse intuito qualche sfaccettatura della sua sessualità abbastanza ambigua, ma lei era stata abbastanza brava a nasconderla per tutti questi anni.

A Camila piacevano le donne. Ne era sempre stata conscia, anche da ragazzina. Ma ne aveva avuto la certezza quando a tredici anni, una notte, si era alzata per bere un po' di acqua e aveva incontrato sua 'zia', che tutto era tranne che una vera zia, poco più che ventenne, totalmente nuda, che rientrava nella propria stanza. Era rimasta a fissarla incantata, quel corpo sinuoso, quei seni sodi che si muovevano lentamente, ondeggiando, la piccola striscia di peli tra le gambe, il suo sedere sodo e perfettamente rotondeggiante. Era solo una ragazzina, ma rimase con la gola secca, e un sordo pulsare tra le gambe fino alla mattina.

Chiuse gli occhi e si allungò sul prato verde, mantenendosi sempre all'ombra dell'albero che aveva scelto. Si portò le mani dietro la testa per stare più comoda. Non poteva rientrare ora, suo 'zio' avrebbe capito che non era stata agli allenamenti, quindi decise di restare un altro po' lì a rilassarsi.

Stava quasi per addormentarsi, in quella pace, quando delle grida la fecero sobbalzare. Un bimbo stava giocando con la sua sorellina più piccola, quest'ultima avrà avuto quasi un anno, e lei urlicchiava dalla felicità. I genitori dei bimbi guardavano la scena, adoranti, mentre a lei le si stringeva il petto dal dolore. Come avrebbe voluto avere la possibilità di tornare indietro nel tempo e impedire quell'incidente, dandosi la possibilità di viversi la propria famiglia, e non questa vita angosciante con quell'uomo di merda al posto di suo padre. Sospirò, prendendo il suo zaino e una matita dal suo astuccio. Iniziò a delineare le figure sul suo quaderno, che era una via di mezzo tra un diario, per scaricarsi dai propri pensieri più bui, e un album da disegno, dove ritraeva ciò che l'istinto le dettava di immortalare.

Concentrata com'era, non si accorse che la famiglia era andata via, e stava ormai calando la sera. Rimise tutto nel suo zaino e si incamminò verso casa sua. Fu sollevata dal notare tutte le luci spente, segno che in casa non ci fosse nessuno. Si diresse in cucina, dove si preparò un sandwich, che si portò in camera dove l'avrebbe consumato velocemente. Non le piaceva mangiare negli spazi comuni. In realtà odiava essere in presenza di quei due, o meglio dell'uomo - la donna la metteva semplicemente in soggezione - così la maggior parte del tempo che trascorreva in casa, lo trascorreva chiusa in camera. Le capitava di frequente di saltare i pasti. Tutto pur di starsene tranquilla per i fatti suoi.

Studiò un paio di ore, poi guardò un film sul suo portatile, prima di addormentarsi ancora con la sensazione di quelle delicate labbra che sfioravano le sue, e dopo tanto, tanto tempo, un accenno di sorriso sul volto.


L'auto viaggiava silenziosamente lungo le strade della città, mentre al suo interno risuonavano delle dolci risate e una inconfondibile musica natalizia.

Camila rideva a tratti, canticchiava solo le parole che ricordava. La sua voce era dolce, armoniosa, allegra.

Sua madre, dai sedili anteriori, la osservava sorridendo di tanto in tanto, completamente innamorata di sua figlia.

"Mila, amore... Hai pensato a che regalo vorresti per Natale? Babbo Natale deve organizzarsi, manca poco più di una settimana ormai."

"Mami, puoi dirgli che vorrei avere un fratellino? O meglio ancora, una sorellina... Sarei la bambina più felicissima del mondo!"

"Si dice più felice, o felicissima, nena." Intervenne il padre, dolcemente. "E chissà, magari la tua richiesta sarà ascoltata." Accarezzò il ventre di sua moglie, continuando a guidare con l'altra mano, leggermente distratto. Camila osservò gli sguardi innamorati tra i due, e aspettò.

"Mija." Sua madre, con gli occhi lucidi, si voltò a guardarla. "Volevamo aspettare Natale per dirtelo, ma non credo che potrò riuscirci. Avrai una sorellina! Però dovrai aspettare ancora qualche mese per conoscerla."

"Siiiiiiiiii!" La piccola buttò le braccia all'aria, contenta. "Posso scegliere io il nome?"

I due genitori si scambiarono uno sguardo preoccupato, poi la madre ridacchiò. "Vedremo."

Il viaggio continuò con Camila che tirava fuori i nomi più improponibili, fin quando non si fermò e decise.

"Si chiamerà Sofi."

"Sofi? Mh... Si, Sofia Cabello suona bene, amore. Tu che ne dici, piccola?" Propose suo padre.

Anche la moglie fu d'accordo, e Camila si sentì fiera di sé. Sbadigliò. Ormai era davvero tardi, la festa aziendale organizzata dai suoi genitori si era protratta più lungo del previsto. Era un miracolo che Camila avesse resistito fino a quell'ora.

Gli occhi le stavano diventando pesanti, era sul punto di addormentarsi quando sentì un forte e prolungato suonare di clacson, che associò subito ad un camion. Aprì gli occhi spaventata, col cuore che le batteva furiosamente contro il petto, mentre vedeva il camion sbandare e ribaltarsi, andando nella loro direzione, e suo padre che cercava di mantenere il controllo dell'auto. Sua madre era immobile, terrorizzata, come lei.

L'auto ruotò tre volte su se stessa, dopo essere stata colpita dal camion, complice l'asfalto ricoperto di ghiaccio, prima di schiantarsi contro il guardrail, sfondarlo, e precipitare nel fiume nero che scorreva sotto di loro.


Camila urlò, svegliandosi nel pieno della notte, la pelle ricoperta di sudore, la gola secca, e le lacrime che le ricoprivano le guance.

Si lasciò andare a un pianto disperato, sapendo che nessuno sarebbe andata a rincuorarla per quello che avrebbe voluto che fosse solo un incubo. Nessuno l'aveva mai fatto. Purtroppo però sapeva perfettamente che si trattava di un ricordo, probabilmente il peggior momento della sua vita.

Dopo alcuni minuti, soffocò i singhiozzi, e si alzò per lavare via il sudore e le tracce di pianto.

Guardò l'orologio mentre tornava a letto, erano solo le quattro del mattino, ma per lei era già incominciata un'altra giornata di solitudine.


Invisible Chains - CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora