Capitolo 13

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"Lascia che il tuo silenzio sia il mio silenzio stesso."
(P. Neruda.)
~~~

Grace

Nonna mi diceva sempre che l'amore è come una rosa.
È un sentimento maestoso e selvaggio, un sentimento che ha la fiera bellezza dei petali, che profuma di vita.
L'amore, come le rose, è qualcosa di ipnotico e fragile.

Ma si sa, ogni rosa porta con sè il peso delle proprie spine e l'amore, da fiera rosa qual è, ne è pieno.
L'amore è qualcosa di spigoloso, qualcosa con il quale è impossibile giocarci senza rimanerne dolorosamente punti, è in grado di graffiare, di far sanguinare e sospirare.

L'amore guarisce, ma lascia poetiche cicatrici.

Ho dunque trascorso gran parte della mia caotica adolescenza nella vana speranza di vedere realizzata questa mia effimera idea dell'amore, alla ricerca della mia rosa, di quella cruda emozione che finalmente mi facesse battere il cuore con impeto.

Divoravo romanzi su romanzi, trascorrevo interi pomeriggi in compagnia dei protagonisti di commedie strappalacrime, fantasticando sul momento in cui mi sarei imbattuta in qualcuno in grado di farmi tremare le gambe sotto il peso del suo solo sguardo.

Ero innamorata della sola idea dell'amore e lo cercavo ovunque.
Tentavo di scovarlo in ogni fotografia scattata, nella strofa delle canzoni che passavano in radio, nelle frasi che sottolineavo nei libri.

Finché non incontrai Cameron.

Frequentavo l'ultimo anno di liceo e quella in cui lo vidi per la prima volta era una mattina qualunque, di una settimana qualunque, di un mese qualunque.
Camminavo per gli affollati corridoi della scuola con i libri stretti forte al petto e la tracolla che sbatteva sulla mia coscia ad ogni mio impacciato passo, cercando di orientarmi tra l'impetuosa marea di studenti per raggiungere l'aula di biologia.

Uno strano chiacchiericcio si era diffuso con prepotenza in tutto l'istituto fin dalle prime ore del mattino, si trattava di voci sull'arrivo di un nuovo studente, di un ragazzo terribilmente bello, di qualcuno che sarebbe stato destinato a lasciare il segno quell'anno.

Non diedi subito peso a quei pettegolezzi, a dir la verità non me ne importava granché di quel nuovo arrivo.

Insomma se il nuovo studente era bello come tutte le ragazze dicevano non avrebbe mai dedicato le sue attenzioni a qualcuno come me.

Non mi avrebbe neppure degnata di una sola occhiata.

Io, perennemente nascosta dietro la mia macchina fotografica, con il viso coperto dai miei lunghi capelli e con un corpo le cui curve non erano ancora sbocciate, non sarei mai stata destinataria delle attenzioni dei bei ragazzi.
Tantomeno del nuovo studente.

Erano questi i pensieri che vorticavano impetuosi nella mia mente quando, quella mattina, feci il mio ingresso in aula.

In un primo momento non capii perché la stanza era piombata nel silenzio, ma non appena ruotai il capo verso il punto nel quale si trovava il mio banco, con l'intento di prendere posto, compresi tutto con lucida sveltezza.

Lui era lì.
Il nuovo ragazzo aveva preso posto proprio accanto al mio banco.

Ed era terribilmente bello.

Aveva un volto dai lineamenti dolci e delicati, grandi occhi verdi e seducenti labbra rosee. Un fitto groviglio di capelli corvini gli incorniciava il viso con maestosità e fierezza, conferendogli una bellezza raffinata.

Tremante e frastornata, presi posto accanto a lui, pienamente consapevole del coro di sospiri sognanti che gli rivolgevano le ragazze che lo circondavano.

𝗟𝗢𝗡𝗧𝗔𝗡𝗢 𝗗𝗔 𝗧𝗘Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora