Capitolo 39

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Buona lettura e grazie per il supporto.🫶🏻🌻

"Non andartene,
non lasciare
l'eclisse di te
nella mia stanza..."
(M. Luzi- Non andartene)
~~~

Hunter
La nebbia dolciastra dell'ebrezza si dissipa dalla mia mente con fastidiosa lentezza.
I miei pensieri si districano poco a poco e quel nugolo di emozioni imbizzarrite che mi solleticava il petto sembra zittirsi un po', assopendosi sotto il caldo bagliore della luce del primo mattino.

Un sapore aspro e nauseante mi riempie le fauci e un dolore lacerante mi pungola le tempie che pulsano impazzite contro le mie orecchie.

Schiudo gli occhi contro voglia e timidi raggi di sole mi inondano la vista, tormentando i miei occhi sensibili che bruciano come l'inferno mentre tento di mettere a fuoco gli interni di una stanza a me sconosciuta.

Non ho idea di dove mi trovi, nè ricordo come io sia finito qui dentro.

Odio quando succede.

Alle volte mi accade di smarrirmi in posti più bui del solito.
L'effetto combinato di alcol e stupefacenti mi strappa via i ricordi, mi impedisce di memorizzare volti e luoghi, mi getta in pasto agli artigli di un'amnesia crudele e maligna.

Così mi risveglio frastornato, tramortito da una nottata che ho completamente rimosso, con una voragine di vuoto a torturarmi la mente.

Provo a sollevarmi dal materasso e il lenzuolo scivola via dal mio torace nudo.
Ne afferro un lembo e getto un'occhiata alla restante parte del mio corpo: grazie a Dio indosso ancora i pantaloni.

Barcollo a passo instabile sul lucido parquet e mi affretto ad agguantare la mia camicia che giace abbandonata in un angolo, ridotta a uno sgualcito mucchietto di stoffa.

La infilo con una certa fretta e, nel farlo, l'occhio mi cade su una fotografia esposta sulla superficie della scrivania addossata alla parete che mi sta di fronte.

La foto ritrae Robert Cooper.
Dunque, a rigor di logica, mi trovo in casa sua.

Beh, almeno ho recuperato un tassello.

Setaccio il caos di lenzuola stropicciate per recuperare il mio cellulare e, una volta sbloccato, mi accorgo delle cinque chiamate perse da mio padre.

Serro la mascella fino a digrignare i denti mentre la delusione riaffiora con prepotenza in superficie.
L'idea che l'ultimo straccio di famiglia rimastomi consista solo in mio padre e quello psicotico stupratore dai riccioli scuri mi disgusta profondamente e minaccia di rimescolare le mie viscere già provate dai postumi della sbornia.

Ma sguinzagliare in pasto alla tiepida luce del mattino pensieri di questo tipo viene difficile anche a uno stronzo in hangover come me, perciò scelgo di ignorare il mare di merda che ieri sera ha insozzato la mia vita.
Almeno per un po'.

Mia madre diceva sempre che le disgrazie camminano in coppia: a braccetto, avanzando di soppiatto, pregustavano malignamente l'attimo in cui ti avrebbero colto di sorpresa, facendoti vacillare sulle tue stesse gambe.

E non so perché, quando il mio telefono prese a squillare nella stanza vuota, dilaniando quella schiva quiete mattutina, la mia mente corse proprio a quella frase della mamma.

Mi soffermo con lo sguardo sul nome che lampeggia a intermittenza sul display: Trevor.

L'idea che sia lui il mittente della chiamata sembra addomesticare i nervi che erano in procinto di tendersi a fior di pelle.

𝗟𝗢𝗡𝗧𝗔𝗡𝗢 𝗗𝗔 𝗧𝗘Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora