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Yasmine

10 anni prima...

Erano le cinque del pomeriggio.
L'orario dove mi dedicavo ai miei compiti.
Sentì dei rumori, urla, provenienti dal piano di sotto.
Così decisi di uscire da camera mia.
Scesi le scale.
A metà scale però, mi fermai.

«Sei una nullità. Una nullità di madre, di compagna.» Sentì gridare mio padre.
Ed era un'altra litigata fra i miei.

Mi affacciai dalle sbarre delle scale.
Vidi mio padre alzare una mano, e sbatterla sul viso di mia madre.
Bam.
Chiusi gli occhi.
Vidi il viso di mia madre, girato.
E un altro bam.
E un altro . Un altro. Un altro.
Finché mia madre, non cadde a terra.
«Smettila.» Supplicò mia madre.
Ma un altro bam la prese.

Così decisi di salire velocemente le scale.
Sentì gli cigolii delle scale, sotto i miei piedi.
«Yasmine?» Sentì mio padre in lontananza.

Ritornai in camera.
Mi chiusi dentro.
E sentì i forti passi di mio padre, salire le scale.
La maniglia si abbassò.
«Yasmine, apri la porta.»

Non lo feci.
Rimasi ferma, seduta sul letto.
«Yasmine, apri questa maledetta porta.» Il suo tono si fece più duro.

Spostai lo sguardo, sulla finestra aperta.
Decisi di avvicinarmi.

«Yasmine. Giuro che se non apri questa cazzo di porta, la butto a terra, e dopo me la vedrò con te.»
Il rumore di maniglia, e sbatti contro la porta si fecero più forti.

Da quando avevo cinque anni mio padre veniva nel mio letto, procurandomi dolore.
Io gli supplicavo di fermarsi, ma non lo faceva, ma continuava a farmi più male, con delle spinte.

Posai l'ultimo sguardo sulla porta, prima che io esca dalla finestra.
Arrampicandomi su mattonelle, e piante.
Toccai il prato, e andai via.
Non molto lontano.
Camminai in una strada semi solitaria, vicino casa mia.
Mi sedetti sul marciapiede.
Ero da sola, si sentivano solo le auto e motorini in lontananza, nella strada alle spalle.
Mi sento bruciare gli occhi.
Così tanto da non riuscire più a resistere.
E piansi.
Vidi in lontananza un gatto.
Un gatto nero, con gli occhi verdi.

«Micio.» Lo chiamai, mentre mi tiravo su il naso.
Con il suo passo felino, si avvicinò a me.
Alzando la testa contro il mio braccio, e l'abbassò, come se volesse farmi una carezza.
«Quanto sei bello.» Gli feci una carezza.

«Dobby, sei qui.» Una voce maschile mi fece sobbalzare.
Mi girai, e vidi un bambino calvo, con occhi scuri.
«È il tuo gatto?»
«Sì.» Si abbasso, e lo prese in braccio.

«Perché non hai i capelli?» Domandai, asciugandomi le lacrime.
«Non sono affari tuoi.» Rispose, con tono infastidito.
Così, delusa dalla risposta, postai subito lo sguardo davanti a me.

«E perché tu piangi?»
«Non sono affari tuoi.», risposi con lo stesso tono.

«Hai il braccio che sanguina.» Il bambino, mi indicò la parte del braccio sanguinante.
Vidi un graffio.
Probabilmente provocato da un pianta, mentre scendevo.

«Vuoi venire a casa mia?»
«Non so nemmeno come ti chiami. Mia madre non vuole che vada con sconosciuti.»
Il bambino sbuffò.
«Piacere, Damon. Il tuo vicino di casa.» Mi porse la mano, mentre con l'altra mantenne il gatto.
«Jasmine, piacere.» Gli strinsi la mano.
Mi fece alzare.
«Come fai a sapere che sono la tua vicina di casa?», chiesi.
«Ti vedo spesso dalla finestra.», mi rispose, mentre iniziò a camminare, così, io lo seguii.

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