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Damon

Due mesi. Due dannati mesi senza di lei. Senza la mia scintilla.
Ho passato un Natale di merda.

«Perché l'hai fatto?», mi chiede Thomas, seduto sul divano affianco a me.
«Non lo so.»
«Perché cazzo l'hai fatto, Damon!?», esclama furioso.
«Non lo so, cazzo.», esclamo alzandomi. «Non lo so.»
«Un motivo ci sarà.», «Lei sta male.»
«Lo so.»
«Voglio sapere il motivo.», ordina.
«Feci quel sogno, e da lì ragionai.»
«Cioè?»
«Che è meglio che io e Yasmine ci allontaniamo finché lei non si scordi di me.»
«Ma sei stupido, o cosa?»

«No, Thomas. Io sono un fottuto malato, e non voglio che se mai dovessi morire, Yasmine deve star male per colpa mia.»
«Ma che diamine dici!»
«Tu non ci pensi, ma io sì.»
«Devi andare da lei, prima che faccia cavolate.», dice alzandosi. «Non vuole vedere nessuno. E si vede che sta male. E da un mese che nessuno sa niente di lei. Ed è un mese che non si presenta a scuola.»
È tutto così fottutamente brutto.
«Ti accompagno a casa.», dico cambiando discorso. «Sono di strada, devo andare a prendere mia madre.»
«D'accordo ma tu fa come ti ho detto.»
«Va bene.», affermo mentre usciamo di casa.

Dopo aver accompagnato Thomas, mi dirigo alla struttura laddove si trova mia madre.
Fortunatamente, oggi torna a casa.

A risvegliarmi dai miei pensieri, è lo squillo del mio cellulare.
Abbasso velocemente lo sguardo sullo schermo, e rispondo, portandomi il cellulare all'orecchio, e riportando lo sguardo sulla strada.
«Pronto, salve.»
«Buonasera, signor Cooper. La chiamo per informarle che è tutto pronto.»
«Fantastico. Sa dirmi quando chiuderemo il modulo?»
«Certo. Tra tre giorni. Lei è libero?»
«Assolutamente.»
«Allora ci vediamo come sempre lì alle 15:30?»
«Va benissimo. Le auguro buon lavoro e una buona serata.»
«Anche a lei, arrivederla.»
Riaggancio, e questa chiamata mi fa ricordare di scintilla.
In questi duri e lunghissimi mesi, l'ho pensata ogni secondo.
E spero così tanto che anche lei mi abbia pensato, ma allo stesso tempo non lo spero, perché deve dimenticarsi di me.

Arrivo fuori alla struttura, dove c'è mia madre che mi aspetta.
Esco e la raggiungo, facendo il giro dell'auto.
«Ehi, ometto.», dice abbracciandomi.
«Ciao.», dico stringendola.
«Da' le valige che le metto nel cofano.»
Mia madre me le passa, e le posiziono all'interno del cofano.
Entriamo in auto, e senza pensarci due volte ci dirigiamo a casa.
Nel tragitto abbiamo parlato di questi lunghi mesi nella qualche non ci siamo visti e sentiti.
E ovviamente abbiamo toccato l'argomento del sogno e di scintilla.
È inutile dire che di ciò che è successo tra me e scintilla, mia madre prova vergogna nei miei confronti, e la capisco.
Ora, anch'io mi pento della mia scelta.

Arriviamo a casa, e la prima cosa che facciamo assieme è cucinare.
L'unica persona che manca della famiglia, è papà.
«Andrai da lei, vero?», mi chiede mia madre con tono severo, mentre apparecchia la tavola.
«Sì. Te lo prometto.»
Porgo i piatti a tavola e mangiamo.
«Mi dispiace.», dice all'improvviso.
La guardo confuso.
«Per averti lasciato solo tutti questi mesi. Per lo più ti sei preso cura di me, quando io dovevo e devo prendermi cura di te.»
«Mamma, non mi sono sentito affatto obbligato di ciò che ho fatto. Ora che stai mille volte meglio, hai tutto il tempo di prenderti cura di me.», dico con tono scherzoso.
E da parte sua ricevo una risata. Proprio quella che volevo sentire.

Dopo pranzo, e dopo aver sparacchiato, mia madre è andata nella camera degli ospiti a dormire, mentre io, sono in camera mia.
Mi alzo dal letto, e mi incammino verso la finestra, puntando lo sguardo sulla sua di finestra.
Quando arrivo io, la sua tapparella si alza, e assieme a essa, viene aperta anche la finestra.
Ho il cuore il gola, e contento di vederla.
Solo che però, ad aprire la finestra e sua madre.
Quest'ultima si allontana, fissando un punto davanti a lei, proprio dove si trova il letto di scintilla.
All'improvviso però, riesco a sentire il tono della voce della madre che diventa più alto, come uno sfogo.

Dopo essersi sfogata la porta viene chiusa, è una minuta sagoma vestita di nero, sfoggia velocemente davanti alla finestra per poi sparire.
Devo andare da lei.

Esco da camera mia, e subito dopo esco di casa.
Mi dirigo nella parte posteriore di casa sua, laddove mi arrampico per arrivare, ed entrare in camera sua.
Quando finalmente sono dentro, lei però non c'è.
Mi guardo intorno, e la camera non me la ricordavo di certo così.
Ho fatto un danno.
Si è ridotta così per colpa mia.

Questa immagine di camera sua, mi pugnala al cuore.
Ma un sospiro di dolore, prende la mia attenzione.
Mi giro nella direzione, dove penso di averlo sentito, e il mio sguardo si gira proprio verso la porta del bagno.
Faccio subito 1+1.
No, no. Non può essere.

Veloce come un leone mi scaravento nel bagno, aprendo la porta con velocità, e ciò che i miei occhi vedono...
Mi scaravento su di lei, prendendola in braccio.
«Scintilla non abbandonarmi. Resta con me.» dico singhiozzando.
Sul mio volto non scende una lacrima da quando mio padre non c'è più.
Ma questo scenario ha immerso il pugnale più affondo all'interno del mio cuore.
E la cosa che più mi preoccupa che una parte dell'incubo è diventato realtà, per colpa mia.

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