5. La serata di beneficienza

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Eron

«Dovresti essere già pronta»
Alya, dal fondo della camera, mi guardava con sguardo perso.
Mi avvicinai di qualche metro verso la sua direzione e inarcai un sopracciglio.
«Non sopporto queste serate così ipocrite, non voglio andarci.» e distolse lo sguardo, amareggiata.
Vidi il suo petto alzarsi freneticamente e percepii la sua agitazione, fui paziente.
«Cosa dovrei dire ai ragazzi?»
Alzò le spalle e la vestaglia lunga e leggere di un delicato color turchese le scese sotto le scapole.
Alya non riusciva a guardarmi in faccia, non riusciva ad alzare il volto, si rifiutava di farlo.
Percepii che qualcosa non andava.
«Che c' è?»
Mi guardò.
«Alya, dimmi che c' è»
Abbassò lo sguardo.
«Tutte quelle cose che mi avete detto... loro...»
La sua faccia era schifata.
«Io non tollero di vederla, è difficile»
Mi sedetti sul bordo del letto, accanto a lei.
«È essenziale andarci»
Provai anch'io a placare la tensione che mi appesantiva la testa e mi annebbiava la mente dall' altro giorno.
«anche se so che è difficile.»

Feci per afferrarle una mano ma Alya si mise a cavalcioni su di me, il suo corpo era teso.
«Permettimi di ritardare»
Si sciolse la treccia morbida che le raccoglieva i capelli e poi mi sfiorò le linee del collo con le punte delle dita, il suo sguardo divenne affamato, bramoso, ma quella scintilla di tristezza, di delusione, non scomparve, non ai miei occhi.

«Alya» la richiamai quando la sua intimità premette sulla mia e fece scendere la vestaglia.
Espose i suoi seni piccoli e alti, mi accarezzò le spalle e mi supplicò con lo sguardo.
«Non vuol dire nulla tanto, non voglio forzarti, dimmi solo di stare ferma ed io lo farò»
Soppesai il suo sguardo, i suoi occhi vitrei, così tristi, e le labbra socchiuse.

Chiusi gli occhi e respirai lentamente.
«Tua zia non è una persona cattiva»
Sgranò gli occhi.
«Come puoi tu dirlo?»
Le circondai i fianchi in modo freddo.
«Non sempre Alya, è difficile da comprendere»
Non mi capì.
Appoggiai la mia fronte sul suo petto, non sapevo cosa aveva in mente Hawk, non sapevo se l' avrebbe portata, col suo arrivo si complicava tutto.

Tolsi la vestaglia dalla sua pelle nuda ad eccezione dell' intimo, mi spogliai anch' io dei vestiti e la mia pelle tremò.
Perché lo sto facendo?
Guardai di nuovo i suoi occhi color oceano.
Allora mi sorrise e io rimasi confuso.
«Chiudi gli occhi e non pensare a me Eron, usami, come ho fatto io con te»
Un rumore plasticoso mi fece risvegliare.

Il mio corpo si sovrappose a quello di Alya e mi sentii meglio, lei si sentii meglio.
Poi il suo calore mi avvolse ma non mi si annebbiò la mente, sentii solo tutta la mia tensione scivolare tra l' incastro dei nostri corpi.
«Eron» disse ansimante e mossi i fianchi animatamente, Alya afferrò le lenzuola fresche e io vidi solo i suoi capelli e la sua schiena, poi i suoi occhi, le sue lacrime.
«Alya» mi preoccupai.
Scrollò la testa e mi afferrò la mano, stringendola come poteva.
Soffriva, soffriva per lei, le avevamo levato l' unica persona che aveva amato, da cui era stata amata e cresciuta.
Forse Victoria non era stata la migliore del mondo a crescerla, ma io le avevo detto la verità e causato quel dolore, quella solitudine.

Sentii quel tarlo nel mio petto, quel dolore costante che si acutizzava nel mio petto da qualche giorno, e di nuovo, quella ferita aperta.

Allora spinsi e ci portai allo sfinimento, perché quello era il nostro sfogo.

___

Mor

Era ormai sera quando il telefonò inizio a squillare dall' altra stanza. Uscii dal bagno con solo un'asciugamano a coprirmi il corpo nudo e i capelli bagnati.

Era Hawk.

«Pronto?»
«scendi immediatamente ragazzina, mi raccomando elegante!»
Mi chiuse in faccia e lo mandai a fanculo.
Lasciai cadere a terra l' asciugamano e mi guardai allo specchio totalmente nuda, in faccia avevo riacquistato un pò di colorito, anche se ero magra rispetto a prima, un modo carino per non soffermarmi sul mio corpo debole.

Mi misi una gonna di pelle nera, un lupetto aderente nero e degli stivali alti.
Sotto casa Hawk mi aspettava su una moto con due caschi in mano.
Con lo sguardo percorse la mia figura da testa a piedi
«Sei...»
«Guida.»
Alzò le mani in segno di resa e mi passò il casco.
«Dove stiamo andando?»
Chiesi curiosa.
«A una serata di beneficienza, spero che Cenerentola gradisca»
Ridacchiai.
«Lo spero per te o non rivedrai la tua moto»
Hawk rabbrividì e mi lanciò uno sguardo d' avvertimento.
Dopo un rombo la moto sfrecciò sulla strada e un sorrisetto provocato dall' eccitazione mi dipinse il volto.
I grattacieli luminosi in contrasto con la notte scura sfrecciavano attorno alla moto che correva freneticamente, con una mano raccolsi l' aria e mi aggrappai ulteriolmente a Hawk che, oltre a ridere orgoglioso, aumentò la velocità.
Era sensazionale.
Non ero mai salita su una moto, eppure un provavo un pizzico di paura, forse perché era Hawk a guidarla. Il mio pensiero si rivolse a qualcuno e il mio cuore palpitò.

Quado arrivammo, un locale enorme dai toni chiari a tre piani schiacciò tutto ciò che c' era in torno, si percepiva già il lusso di quel luogo senza neppure entrarci.

«Un mio amico ha insistito che venissi, è un bravo ragazzo non preoccuparti»

Entrammo nel locale e un enorme sala piena di persone con dei calici in mano ci accolse, mandandoci dritta in faccia un' ondata di lusso. Abiti di tutti i tipi, bellissimi, accompagnati dai completi eleganti e gioielli scintillanti, il lampadario di cristallo al centro della sala spiccava come un diamante in mezzo all' oro.

Io e Hawk avevamo la stessa espressione stampata in faccia.

Hawk mi mise una mano dietro la schiena e ci avviammo verso i tavoli.
Non conoscevamo nessuno tra tutta quella gente di classe, a parte l' amico di Hawk.
«Wow. Andiamo a bere?» scossi la testa in segno di assenso, noj ci fu neanche il tempo di capire come muoverci che un cameriere ci mise in mano due calici con dentro quello che sospettavo essere champagne, lo odorai e quando sentìi l' odore pungente dell' alcol feci una smorfia involontaria, Hawk si mise a ridere come un bambino e io lo guardai male.
Qualcuno si scontrò con me e indietreggiai di qualche passo per la spinta.
«Mi scusi signorina»
Un voce infantile proveniente dal basso si scusò con me, un bambino di più o meno dieci anni mi guardava dal basso mortificato, capelli castani e un accenno di lentiggini vicino gli occhi nocciola che brillavano di innocenza, un nasino dritto e piccolo accompagnato da labbra rosee e morbide, indossava anche lui un completino elegante senza però la giacca. Dopo attimi seguiti a osservarlo girò la testa confuso
«Sta bene?»
Annuii e gli sorrisi, lui ricambiò il sorriso e se ne andò. Hawk mi tocco una spalla per riportarmi alla realtà
«Dovremmo-»
Il tintinnio di una posata contro il bordo di un bicchiere eseguito tre volte attirò l' attenzione di tutti i presenti.
«Scusate, vi chiedo un attimo di attenzione»

Quella voce

«Grazie di essere venuti a questa serata di beneficienza gentili ospiti, sono felice di vedere volti a me amici e volti nuovi, oggi siamo qui a passare una serata insieme che per quelli come noi non costerà nulla ma che per i meno fortunati sarà un gesto importante...» continuò a parlare ma la sua voce non mi arrivò.
Era identica a come la ricordavo, solo con qualche ruga in più.
Le gambe sfilate, il corpo longilineo e magro sempre fasciato da abiti impeccabili ed eleganti. I capelli biondi legati in una coda bassa e il viso piccolo e aggraziato, gli zigomi alti, occhi color ghiaccio e rossetto rosso vivo sulle labbra.
Victoria Reed
In tutto il suo splendore In carne ed ossa a pochi metri da me.

«Approfitto di questa occasione per presentare, a chi non lo conosce, il mio piccolo Hunter»
Un bambino corse accanto e lei e alzò lo sguardo per guardarla, quello stesso bambino cordiale e sorridente con cui mi ero scontrata poco fa. Mi si gelarono le ossa.

Il suo sguardo vagava sui volti di tutti, poi le sue iridi color cielo incontrarono il mio volto.
Una rabbia antica e covata da tempo mi attraversò tutto il corpo, per un attimo sgranò gli occhi e divenne pallida, poi abbassò la testa e lanciò il suo sguardo nel vuoto, pensierosa e visibilmente turbata, poi tornò a regnare sul suo meraviglioso volto un sorriso innocente e luminso.

«Non è suo figlio.»
Decretai.
«Neanche suo nipote.»
Sul volto di Hawk la rabbia lasciò spazio alla preoccupazione.
«Da quando Victoria Reed pensa ai meno fortunati?» e la mia voce risultò estranea anche a me.
«Da quando Victoria Reed accoglie sporchi orfani a casa sua?»

Provai qualcosa di indefinito, che non seppì descrivere. Una rabbia ceca che mi fece traballare sulle mie stesse gambe.
Non distolsi gli occhi da lei.

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