37. Seppellire l' osso

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Mor

«AIUTATEMI!»
Tutto era nero.
Sbattevo le palpebre freneticamente, provando ad abituarmi al buio, dovevo trovarlo, dovevo aprire quella porta.
«Ti prego...»
Non stava bene, dovevo trovarlo.
Dovevo...
Inciampai e caddi per terra, il legno scricchiolò sotto il mio peso e il mio cuore mancò un battito.
Se mi avesse sentito...
I miei occhi si abituarono al buio e in quel momento vidi la porta dello scantinato spalancata, mi precipitai nelle scale e lo vidi, accasciato a terra con gli occhi semichiusi.
«Eron» scesi un' altro gradino anche se muovermi risultava pesante, impossibile.
«Non lasciarmi...» pianse accasciato a terra.
«Sto bruciando» rantolò la sua voce malata.
Scesi un' altro gradino, lottando per arrivare a lui.
Si fece troppo vivido il suo volto contratto dal dolore e imperlato di sudore.
«Ti prego! Ho paura...»
Vidi il suo piccolo corpo da undicenne tremare con violenza e lui faticare a respirare.
«Sento le mie ossa bruciare...» disse tra un singhiozzo disperato e l' altro, il suo volto una maschera di paura e dolore, poi i suoi occhi mi videro e si spalancarono.
«Non lasciarmi solo!»
Ma io non riuscivo a muovermi, non riuscivo a fare un passo nella sua direzione, poi sentii il mio polso rompersi.
Urlai e venni trascinata su, contro il muro, mentre cercavo di capire.

«Devi. Solo. Stare. Ferma.»
Quelle parole rimbombarono familiari dentro di me, facendo ritornare piccoli campanellini già conosciuti, reazioni ripetute, più e più volte, vocali che già avevo assaporato.
«No» sussurrai terrorizzata.
«No!»
Keith ripeté le precedenti parole.
«Devi solo... stare ferma.»
Poi il vetro della sua bottiglia si infranse contro il muro poco distante da me.

Urlai e non sentii più nulla, le mie ginocchia picchiarono il suolo e con le mani mi toccai le orecchie, mentre un dolore acuto si intensificava non capivo dove e i miei timpani fischiavano rendendo i rumori sordi.

Poi lo vidi, correre verso di me.
Il piccolo Eron tredicenne stava urlando, urlava contro Keith e si stagliava davanti a me mentre l' uomo lo guardava disgustato e orrefatto, mi guardava scioccato, come se avessi commesso un crimine.
Allungai la mano che tenevo sull' orecchio destro verso Eron e il terrore mi uccise quando la vidi colma del mio sangue, poi tutto tornò nero.

Scattai a sedere sul divano con la bocca divaricata dal terrore e il viso bagnato delle mie lacrime.
Portai istantaneamente le mani sul mio orecchio destro, toccandolo con dita tremanti.
Il cane era saltato in aria e subito dopo mi era salito addosso preoccupato, sentii il mio respiro agitato inondare l' aria e provai a calmarmi, a tornare alla realtà e a placare i battiti del mio cuore.
Black iniziò a leccarmi le mani e a strusciare la sua testa contro di me mentre provavo a regolarizzare il mio respiro.

Mi misi seduta poggiando la schiena sullo schienale e accarezzai Black, lanciando uno sguardo all' orologio appeso alla parete.
«Scusa, mi sono addormentata senza pensarci»
Mi toccai la fronte e mi guardai intorno, la casa era vuota e silenziosa, colma delle prime ombre del tardo pomeriggio.
Mi alzai e percorsi la distanza tra salotto a cucina, concentrandomi sulla sensazione del parquet freddo sotto i piedi scalzi, mi riempii un bicchiere d'acqua e mi poggiai alla parete, osservando l' acqua all' interno del mio bicchiere sotto la luce artificiale e fredda della lampada, feci fare al mio bicchiere dei movimenti ovali, osservando come l' acqua ruotava con esso e mutava la sua forma, poi, un rumore mi fece alzare lo sguardo.
La pianta del salotto era capovolta e la terra sradipava dal vaso, mi fiondai nel salotto accanto a Black che aveva rovesciato di nuovo il vaso, allontanandolo da esso.
«Lo sai che non si fa! Perchè-»
Notai che in mezzo alla terra spuntava un' oggetto, mi chinai e con la punta delle dita lo sfilai dal terriccio, attenta a non rovesciarne ancora sul pavimento.
Guardai l' ossicino appuntito sporco di terra, poi gli occhi pieni di luce e possessività del mio cane che mi diedero la conferma.
«Cercavi questo»
Spostai l' osso da una direzione all' altra, constatando che Black seguiva l' oggetto che avevo tra le mani con lo sguardo, poi mi fissai su di esso.
«Lo hai nascosto sotto la pianta che hai rovinato, sotto la stessa pianta che hai già rovinato altre volte»
Osservai sconvolta l' oggetto che tenevo tra le dita, ancora in uno stato di confusione mentale.
«Potevi scegliere altri posti ma sei tornato qui, dove già ti avevano scoperto» dissi più a me che al cane.
Mi misi eretta e porsi l' osso a Black, incredula su che cosa mi avesse portato a realizzare.

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