Jordan
L' aria stava iniziando a farsi più tagliente e mentre il piccolo tacco delle mie scarpe tintinnava nell' asfalto del marciapiede, l' immagine di Melissa comparve sullo schermo del telefono.
«Credevo non rispondessi tesoro!» sorrisi alla sua vista.
Mi cibai affamata dell' immagine di mia madre che tanto mi mancava.
«Come potrei perdermi una videochiamata con te mamma?»
Mi misi in un angolo della strada più appartato.
I suoi ricci biondi le sfioravano le spalle e il suo sorriso splendente, ai lati della bocca qualche ruga le dava solo più espressione, o come dicevo io, le dava più bellezza. I suoi occhi di giada si illuminarono nel vedermi.
«Oh Jordan quanto sei bella! Mi manchi tantissimo!»
A malapena trattenni un sorriso.
«Potrei prendere un volo e...»
«Assolutamente no! Ti stai facendo la tua vita là, ammetto che saperti in quella grande città mi fa stare un po' sovrappensiero ma so che stai bene, sai difenderti e sei molto in gamba negli studi. A meno che la tua vecchia mamma non ti manchi troppo ti farò trovare la casa pronta!»
Venni travolta da un' ondata di nostalgia, mia madre era sempre stata parte integrante della mia vita e lo sarebbe sempre stata, era la persona che più amavo in assoluto.
«Raccontami di qualcosa, qua tua zia è sempre al lavoro e il gatto un giorno di questi lo farò al forno!»
Mi misi a ridere.
Iniziai a raccontarle dell' università e di come procedevano gli studi, provai a non pensare alle altre cose, a come agli occhi degli altri Jordan Hale non fosse mai sola e fosse l' anima della festa. Mi ero circondata di conoscenti che erano perfetti sconosciuti, nessuno avrebbe mai sospettato che Jordan Hale sapesse cosa vuol dire sentirsi soli, io sola mi sentivo da tutta la vita.
«Jordan, tesoro, qualcosa non va?»
Mia madre nel corso della mia adolescenza non riusciva sempre a capirmi ma sapeva da sempre leggermi in faccia, sapeva quando qualcosa non andava, lo vedeva quando gli altri invece erano cechi.
«No, solo che gli studi mi stressano, sai come sono fatta, sono preoccupata di non farcela, di non riuscire»
Il sorriso gentile e pieno di comprensione di mia madre mi riempì il cuore, dio quanto mi mancava.
«Amore tu devi fare solo quello di cui sei capace, senza preoccuparti troppo, sei un mito e questo lo sai, sei circondata da chi ti invidia, ma comunque sia, anche se qualcosa non va come speravi devi rialzarti, non arrenderti, piangere sul latte versato è inutile, me lo hai insegnato tu stessa!»
Dietro lo schermo una figura slanciata catturò la mia attenzione, capelli lunghi raccolti disordinatamente e occhi verdi. Sulla schiena portava una chitarra dalle grosse dimensioni e tra le mani un foglio spiegazzato, mi accorsi solo dopo della matita che teneva dietro l' orecchio.
«Jordan hai visto qualcuno?»
«No. Nessuno di importante, come sta zia?»
«Oh a proposito di zia! Devo andarla a prendere a lavoro, ti va se domani ti richiamo? Facciamo colazione insieme»
«Certo! Non vedo l'ora, stai attenta. Ciao.»
Puntai di nuovo lo sguardo sul punto in cui c' era Hawk ma era vuoto.
Era pomeriggio inoltrato e decisi di entrare in un locale che frequentavo di sera, mancava qualche ora e si sarebbe riempito fino a diventare solo una massa caotica di gente.
Mi sedetti e ordinai qualcosa al barista, il cielo da lì a una mezz'ora si sarebbe oscurato, il mio sguardo iniziò a divagare a ciò che avevo intorno. Una ragazza seduta nel bracciolo di uno dei divanetti all' angolo provava a sedurre il ragazzo seduto nel divanetto, la gonna corta le risaltava le cosce piene e sensuali, la mano di lui era discretamente poggiata sul culo.
Un' altra ragazza piena di lentiggini e capelli color rame rideva allegramente in un' angolo, lo sguardo puntato sulla sua amica. Gli occhi mi caddero su una figura, capelli lunghi raccolti in un codino e tra delle labbra scintillanti semichiuse una pallina luccicante di metallo.
Una scossa elettrica mi percorse la mente.
L' attimo dopo lui non c' era più. Dio, avevo le allucinazioni.
Sobbalzai quando una ragazza si sedette nello sgabello accanto al mio, la sua immagine mi catturò subito.
Lunghi capelli neri, scurissimi e leggermente ondulati le arrivavano ai seni, il corpo longilineo e sensualmente raccolto in stivali alti, jeans chiari e lupetto nero che le aderiva come seconda pelle. Risalii lungo il collo e trovai mascelle definite e un viso dolcemente ovale, labbra piene e chiare, tendenti al violaceo. Sopracciglia leggermente inarcate che le donavano un' aria provocatoria.
I suoi occhi chiari trasudavano gelo e riservatezza, forse un po' di curiosità, era difficile spiegare cosa irradiasse il suo aspetto ma ne rimasi colpita.
Osservai il cielo ed era quasi del tutto oscurato, della gente iniziò ad entrare. Vidi il mio telefono squillare, numero sconosciuto, lo lessi senza rispondere, il numero dell' ospedale psichiatrico. Il dito sfiorò appena l' icona verde per rispondere, in quell' istante mi alzai di scatto dallo sgabello, il telefono ancora squillava incontrollato, un' ondata di nausea mi fece irrigidire e afferrare i bordi del tavolo. Mi sentii male.
Mi perseguitava, quel bastardo era ovunque.
La testa girava e le mani tremavano, tutto andava male, male, fottutamente male.
Lo stomaco iniziò a dolere.
Andai in bagno dando una spallata a qualcuno.
Il mio corpo non era più mio, stavo male, male, male.
Sempre più male fino a che non mi sarebbe mancato il respiro.
«Rispondi Jordan! Perché non rispondi?!»
I suoi occhi crudeli mi tornarono in mente, 'fanculo! Doveva uscire dalla mia testa!
Appoggiai le mani sui lati del lavandino, reggersi in piedi era difficile.
Sentivo l' agitazione prendersi gioco della mia testa, dei miei cinque sensi e allo stesso tempo prendere il comando dei miei organi interni comandandogli di fare male, di togliermi l' aria e la ragione, di togliermi tutto.
Iniziai a piangere incontrollatamente.
«Vuole vederti, è tuo padre e ha bisogno di te»
Scivolai a terra ma qualcuno mi prese sotto le ascelle, aveva la mia stessa forza e le braccia esili quanto le mie. Era una ragazza della mia stessa età.
Ci sorresse entrambe ed io tornai sulle stabile sui miei piedi.
Ero tra le sue braccia e per un attimo lo stomaco aveva smesso di fare male.
«Concentrati sulla mia voce, non su quanta aria stai riuscendo a incanalare, mi senti? Mi stai ascoltando?»
Non me lo stava chiedendo, non erano domande, era un pretesto per parlare.
«Com' è la mia voce? Come la definiresti?»
Calda, calma, rigida ma non per questo poco flessibile. Un timbro forte e suadente, al tempo stesso confortevole, deciso.
Sollevai lo sguardo sullo specchio, era lei. I suoi capelli scuri e lunghi, gli occhi chiari e l' aria magnetica.
Mi stava guardando.
Per un attimo mi agitai ma poi mi ricordai che non mi conosceva, io non conoscevo lei, potevo essere me stessa, non l' avrei spaventata.
Le sue dita sfilate mi sfiorarono il viso e mi portarono di nuovo lo sguardo sul nostro riflesso, lei mi guardava attraverso lo specchio.
«Guardati, mentre tu sei qui chi ti ha fatto del male dov'è?»
Guardai i suoi occhi incisi nello specchio, decisi, felini, forti.
«Non è qui con noi, crede di avere potere ma non ne ha, vuole fartelo credere.»
Mi guardò di nuovo attraverso il riflesso, il suo viso affiancato al mio.
«Tu hai il potere, tu decidi se può toccarti e ferirti anche a distanza, sei molto più di ciò che immagini, ti ho vista.»
Mi asciugai le lacrime, mi sentivo stordita, l' attacco di panico era finito e lei mi teneva ancora tra le braccia.
«Sono Jordan Hale, voglio che ti ricordi il mio nome.»
Mi sfuggì tutto dalle labbra senza che potessi fermare le parole.
Mi sentii improvvisamente stabile, mi sentivo bene, lei non mi vedeva come gli altri.
Sorrise appena.
«Credimi me lo ricorderò.»
Allungò la mano.
«Mor Oak»
La strinsi e per la prima volta sentii che semmai l' avrei rivista non si sarebbe accontentata della solita Jordan, della Jordan che mostravo a tutti, l' avrebbe annoiata.
Uscimmo dal bagno, la sua presenza mi attirava, era come una calamita.
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In the Shadows
Teen FictionSepolte tra fiamme e ricordi dolorosi, all' Òikos i bambini narravano storie, sussurrate nel silenzio della notte cosí che potessero prendere vita. Tra la neve e le foreste del Canada, Mor Oak perde la sua unica famiglia e dopo aver covato per tro...