1. Occhi uguali ai miei

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Mor

Abbandonavo il Canada e provavo a seppellire una vecchia me, abbandonavo lì gli anni passati con Mia, la nostra casa, abbandonavo lì un pezzo di me sperando di superare il dolore, speravo così facendo di abbandonare anche lui, ma non avrei seppellito la rabbia, non potevo.

Sperai, lasciando il Canada, di abbandonare anche gli ultimi mesi trascorsi in quel luogo, di superare in qualche modo quei mobili rotti, il ricordo delle mie nocche insanguinate e quel vuoto.

Fuori dal finestrino una vista mozzafiato mi eccitava e spaventava allo stesso tempo. Stavo abbandonando il Canada per volere di Mia, per il suo ultimo volere. Lei non avrebbe mai voluto che dopo la sua morte rimanessi sola, non le sarebbe mai andato giù e quindi ero là, su un aereo diretto negli Stati Uniti, dove viveva mio zio Derek, lo zio che era magicamente spuntato dal nulla da mesi, nella mia vita.

L' aereo atterrò e una vocina suggerì ai passeggeri di scendere, eseguii ciò che disse e tra la folla di chi aspettava qualcuno e chi era sceso dall' aereo quasi mi persi.

Quando arrivai in un punto meno affollato due iridi chiare quasi identiche alle mie si incollarono su di me, ed io le vidi per la prima volta.
«Tu sei Derek» supposi.
Un uomo sui trentacinque anni, alto, con dei folti capelli scuri mi guardò da testa a piedi con una strana emozione negli occhi. Le spalle ampie erano ricoperte da un lungo cappotto nero, aveva braccia forti che si intravedevano anche sotto gli strati di vestiti, indossava dei jeans grigi e sotto il cappotto una maglietta blu notte, mi soffermai sui lineamenti; mascella definita e sporgente ricoperta da un accenno di barba scura, labbra di grandezza media, pelle chiara, sopracciglia arcuate e piene. Non si poteva dire che non fosse un uomo affascinante. Eravamo... simili, in un certo senso.
«Mor»
accennò un sorriso gentile
«Andiamo a casa?» incurvai le sopracciglia.
«Casa tua non è la mia» risposi di getto, Derek mi guardò per qualche istante e abbassò lo sguardo.

Uscimmo dall' aereoporto, diretti verso i parcheggi, il giorno stava quasi per morire del tutto sotto i nostri occhi, mi soffermai a osservare la luce sparire e fare spazio alle ombre della notte, si sarebbero viste le stelle?
Abbassai lo sguardo sui miei stivali, poi lo alzai su Derek dietro di me, che mi stava guardando.
Rimasi semplicemente colpita, mi sentii quasi minacciata, dal suo sguardo morbido e dolce, mi fece infuriare.

Nella Jeep nera di Derek, quasi non si respirava per la troppa tensione. Derek apriva bocca ma non ne usciva mai suono e si distraeva spesso dalla guida per guardarmi di sfuggita.
«Il viaggio...è andato bene?»
«Si.» mettere a disagio un uomo il doppio di me sia d' età che di statura non era mai stato più semplice, il momento durò poco perché Derek si ricompose subito. «Sei stanca?»
«No»
«Hai fame?»
«No»
Ispirò profondamente
«Hai tutte le ragioni del mondo per avercela con me, ma se sei partita dal Canada allora ci sarà un motivo, io...voglio un nuovo inizio, voglio davvero essere tuo zio. Mi dispiace di non esserci stato prima, non sapevo che mio fratello avesse una figlia» lo disse di getto, con nonchalance, in totale calma, una calma apparente che sotto sotto celava una nota stonata, una nota che avevo udito benissimo.
Non risposi, se si aspettava che avremmo affrontato questo discorso in auto , neanche dopo mezz' ora dal mio atterraggio, si sbagliava di grosso, una bambina sola aveva bisogno di suo zio, aveva bisogno di amore e di una famiglia, la bambina era cresciuta e dopo anni era arrivato qualcuno per darle amore, ma troppo tardi.
Provai a non pensarci, a quanto lo avrei voluto prima, a quanto ne avessi il disperato bisogno, a quando non era mai arrivato, la frustrazione non sparì.

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Davanti a me si stagliava una casa di due piani, lussuosa per me, ma modesta in confronto agli edifici di quella enorme città.

In the ShadowsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora