4. Spento

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Mor

Le prime luci calde del sole sfioravano il profilo di Hawk e illuminarono i suoi occhi verdi, fu come vedere un prato ricoperto del primo sole.

Aveva insistito a portarmi in quel bar la mattina presto, sostenendo che fosse il migliore della zona.
Quel giorno indossava una maglietta aderente sotto una giacca di pelle, aveva i capelli legati in un codino e mentre parlava riuscivo a intravedere la piccola pallina metallica incastrata nella sua lingua.

Alzai gli occhi su di lui e capii che si era accorto del mio sguardo puntato sulla sua bocca, si mise a ridacchiare e fece per aprire bocca quando il suo telefono iniziò a squillare, interrompendolo.
Lo sfilò dalla giacca e guardò lo schermo.
«Torno subito, tu inizia ad avviarti verso la cassa, pago io aspettami!»
Così si alzò ed uscì dal bar.
Finii il mio ultimo sorso di caffè e mi alzai, facendo come mi aveva detto.
Dalla vetrata intravidi Hawk con il telefono accostato all' orecchio, ma i suoi occhi erano proiettati verso una figura, le sorrise e parlarono brevemente, poi distolsi lo sguardo pensando che non fossero affari miei o a prescindere non mi interessava.

Una ragazza alta e bionda entrò nel bar guardandosi intorno, si avvicinò al bancone da cui io distavo qualche metro e uscì una carta di credito dal portafoglio, sentii il suo verso improvviso e vidi qualcosa scivolare dal portafoglio, forse mentre sfilava la carta di credito.
Finì ai miei piedi e mi abbassai per prenderla e porgiergliela, afferrai quella che identificai essere una carta d'identità e quando mi avvicinai di qualche passo per dargliela il mio occhio cadde su "Dover", la carta per poco non mi scivolò dalle mani.
Rilessi velocemente il suo nome senza guardare gli altri dati.

Alzai lo sguardo su di lei e in modo particolare sul suo volto.

I capelli erano di un biondo chiarissimo e la pelle tendeva leggermente al bronzeo.
I suoi lineamenti erano eleganti, indubbiamente felini e dannatamente simili a quella donna.

Alzò un sopracciglio, confusa sul perché non le stessi ridando la carta, abbassò lo sguardo sull' oggetto che tenevo stretto fra le dita, poi lo alzò sui miei occhi.
Le sue iridi erano di un' equilibrato color oceano, il suo sguardo semplicemente saccente.
Quando si avvicinò di un passo con aria confusa e un po' seccata indietreggiai e andai a sbattere contro un tavolo.
Mi guardò ancor più confusa da testa a piedi e i miei occhi si fermarono sulle sue labbra piccole e il naso dritto e fine, poi sugli zigomi alti e decisi e in fine sul viso perfettamente ovale.
Le porsi la carta d'identità, rigida, poi la superai e pagai per me.

Uscii dal bar e i miei occhi trafissero Hawk che aveva riattaccato in quel momento.
«Ti avevo detto di aspettarmi, pagavo io per entrambi»
Si avvicinò ed io lo intimai di non provarci.
«Mi hai mentito. Sei un bugiardo»
I suoi occhi divennero confusi e agitati, poi puntò lo sguardo dentro il bar, oltre la vetrina, e la confusione andò via.
«Non è come pensi ragazzina. L' hai riconosciuta? E allora?»
Mi avvicinai minacciosamente, sentendomi tradita.
«Chi è?»
«Dimmelo tu.»
E la flebile speranza che mi avesse smentito chi era quella ragazza crollò.
«Perchè mi hai portato qui? Sapevi sarebbe venuta?»
Restò un silenzio.
«Non pensavo sarebbe venuta oggi»
Indietreggiai, inibita da quelle sensazioni urticanti e quelle emozioni improvvise che mi urlavano nel petto.
«Vi siete fermati fuori a parlare, voi due vi conoscete!»
Sentii le gambe cedere e avvertii una fitta di debolezza.
Hawk chiuse un attimo gli occhi frustrato.
«Mor, non urlare, ti devi calmare»
Provò a sfiorarmi ma indietreggiai ancora, arrabbiata con lui.
«Non avrei dovuto fidarmi di te, non sei il mio Hawk, sennò non le avresti sorriso»
I suoi occhi si rattristirono e lui provò a spiegarsi.
«Sei nel torto. So cosa stai pensando ma sono ancora il tuo migliore amico e tu sei la mia ragazzina, non ti mentirei mai, io non starei mai dalla sua parte»
Alzò le mani facendomi intuire che non si sarebbe avvicinato.
«Non ti credo.»
Hawk puntò gli occhi sopra la mia testa.
Feci un passo indietro e andai a sbattere contro la schiena di qualcuno.
«Cosa ci fai qui?»
La sua voce vibrò dietro il mio cranio ed io mi spostai accanto a Hawk.
Girandomi, vidi dei capelli corvini e due iridi grigie.
Pensai che fosse la luce a deviare la mia ottica e a farmi vedere quella tonalità così unica, ma le sue iridi erano di un grigio spaventoso e stavano puntando me.
I capelli scuri gli ricadevano perfettamente sul viso.
Sentii la punta delle dita formicolare e la mente diventare offuscata.
Il ragazzo si rivolse a Hawk, eppure i suoi occhi, che erano leggermente sgranati, osservavano me.
«È passato tanto tempo, non speravo più di vederti»
E in quel momento i suoi occhi si incendiarono di rigetto, disgusto e qualcosa che mi era impossibile decifrare.
«Ti ho ritrovato» il suo tono fu amaro e duro, lo sentii vibrare contro la pelle.
Hawk non rispose e io incurvai le spalle chiudendomi in me stessa.
«Ma non come speravo»
Poi guardò di nuovo me e io non riuscii a deviare il mio sguardo.
«Non dovresti essere qui»
Il suo sguardo era semplicemente metallo fuso alla mia vista, sentii la pelle surriscaldarsi e quella frase indirizzata a me.
Ed effettivamente, cosa stava dicendo? Non aveva senso.
Eppure tramite il suo sguardo percepii l' astio e l' odio che provava innegabilmente per me.
Il mio cuore urlò un nome ma io rifiutai.
Lui non c' era più, e non mi avrebbe mai guardata così.

«Dovresti entrare» disse infine Hawk sospirando, sembrava scoraggiato.
Il ragazzo fece una smorfia e increspò le labbra per poi entrare nel bar, seguii la sua figura.
«Mor» disse Hawk, ed io mi voltai e non tornai indietro.

___

Aprii il getto caldo dell' acqua, non ricordavo l' ultima volta che mi ero fatta un bagno.

Una volta riempita, immersi cautamente un piede e mi morsi il labbro per il contrasto tra il mio piede freddo e l' acqua calda, mi immersi totalmente un po' spaesata.

Stavolta non ci sarebbe stata Mia a pettinarmi i capelli, nè tanto meno a mettere la schiuma sul naso scherzosamente a quella ragazzina quattordicenne, estremamente ferita, che era appena arrivata in una casa estranea e che non faceva un bagno caldo da tanto tempo.
Mia non c' era più. Ed io?
Io com' ero diventata?
Mia mi avrebbe riconosciuta?

Jordan

Colpii il sacco, sentii le nocche bruciare piacevolmente e lo feci di nuovo, stavolta con più foga.
Una gocciolina di sudore mi accarezzò il volto facendomi spuntare in piccolo sorriso sul volto.
Colpii di nuovo e stavolta usai anche gli arti inferiori, inspirai col naso e i miei polmoni si aprirono, assaporando l' aria più fresca che avessi mai provato in vita mia, che assaporavo solo quando combattevo.
Colpii ancora il sacco da boxe e continuai costante, finché non iniziai a sorridere soddisfatta e proprio sul più bello entrò Marcus.

«Le signorine della tua età si conciano a bambolina in questo momento»
Mi voltai, alzando gli occhi al cielo.
«Le signorine della mia età non sanno spaccare la mandibola a un maschio»
Marcus rise di gusto e mi diede una pacca sulla spalla.
«Non dovresti ucciderti tutti i giorni in questo posto, a volte vieni mattina, pomeriggio e sera. Vorrei venissi meno Jordan»
Sospirai e spostai il peso da un tallone all' altro.
«Ti pago per usare la tua palestra» dissi seccata.
Marcus sospirò.
«Intendo che vorrei saperti altrove, magari a fare altro con qualcuno, non mi rende felice vederti tutti i giorni buttata qui, anche se mi paghi.»
Mi voltai e lo guardai in volto tentata di ribattere, poi però pensai che era Marcus e che dovevo essere meno agguerrita nelle discussioni, almeno con lui. Non dissi nulla e mi morsi il labbro.
«Pure io mi sono seccato di vedere questa palestra ogni giorno! Sai cosa vorrei vedere?»
«Come faccio il culo a un omone di un metro e novanta? Anche io»
«No. Tu con i tuoi amici o addirittura un ragazzo, uno davvero da paura che ti sbava dietro! E Vincent è tutto meno che un' uomo.»
«Ei!»
Rise sotto i baffi.
Tornai davanti al sacco e ripresi.
«Pratichi questo sport da cinque anni, ti alleni assiduamente da cinque anni, sei abbastanza forte, Jordan.»
E in quel momento mi sentii di nuovo impotente, spaventata.
«Non sarò mai abbastanza forte»
Colpii male e sussultai, mi ero tirata un muscolo.

Marcus si avvicinò.
«Tuo padre ha chiamato?»
E la mia gola si chiuse, Marcus lo aveva nominato, tirai un calcio e feci traballare il sacco da boxe.
«I bastardi non chiamano da un mese, finalmente.»
«Ne sono contento»
Poi si mise davanti il sacco da boxe e per poco non lo colpii in pieno viso.
«Va bene, ho capito»
Marcus sorrise poi si spostò e io gli giurai altri soli cinque minuti.

E ripresi a colpire, provando a scordare il brivido di terrore che il ricordo di mio padre faceva scattare nella mia mente, a ogni colpo lui aveva meno potere, lui non esisteva più.

___

Eron

Dovevo incontrare Alya, invece avevo incontrato lei.
Lei che si era spenta.
Lei che non sarebbe dovuta tornare, che mi ricordava un passato che non volevo accettare, non dalla sua ottica.

Mor era persa, tutto quello che avevo fatto era stato inutile.

E sapevo solo di non riuscire a tollerare la sua vista, di non volerla più vedere.

Mi odiai per quei sentimenti, mi odiai dal profondo.

In the ShadowsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora