20. L' Òikos

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*

Katelyn


Osservavo i palazzi illuminata, la città sotto di me che iniziava a brillare in contrasto al buio della notte.
Accostai il calice lungo e fine alle mie labbra, accostata all' enorme vetrata che mi permetteva di vedere quel luogo tanto affascinante, eppure la mia mente era pervasa da immagini tanto destabilizzanti e sconvolgenti quanto quella vista, quei pensieri erano come una carezza, e forse per la prima volta mi sentii leggera, felice di sentire il peso della mia mente.
Qualcosa di unico e meraviglioso stava nascendo.
Qualcosa di imparagonabile, che avrebbe brillato più dei palazzi, che nella mia mente brillava già.
Quel qualcosa... era speciale.

___

La voce di John dall' altro capo del telefono sfiorava le mie orecchie, all' improvviso sentii qualcuno gridare.
«Katelyn Abigail Reed!»
Mi fermai sul posto e buttai gli occhi al cielo sapendo già cosa mi sarebbe aspettato.
«John, devo riattaccare, scusami»
Riattaccai la telefonata e mi ritrovai addosso gli occhi ardenti di mia madre.
«Tu... Lo stai facendo davvero.»
Sospirai.
«Si, mamma lo sto facendo davvero» dissi con una nota di orgoglio nella voce, dovuto a quell' affermazione.
«Lo hai constatato oggi per la prima volta? Spero che l' impatto non sia stato troppo violento»
«È una pazzia!» urlò
«Si, da strapparsi i capelli dalla testa mamma» decretai sarcastica, provando a smorzare il discorso.
«Katelyn Reed, non hai neanche venticinque anni! Sei pazza! Completamente pazza! Sei una bambina, tremendamente immatura e» fece uno stacco tra una parola e l' altra, evidentemente troppo in tensione.
«Ed io ti vieto di gettare gran parte della tua vita per questa cosa!»
Risi tra me e me, le risi in faccia con sicurezza.
«Ho ventiquattro anni, sono una donna e so distinguere cosa per me sarà una perdita di tempo o meno, tu non sai di cosa parli»
Aveva gli occhi sgranati e le goti rosse, vederla in quel modo iniziò a ferirmi.
«Davvero Katelyn? Rovinandoti la vita? Gli studi? spendendo letteralmente un patrimonio?! E tutto... Per dei sporchi orfani di strada.»
Quelle parole fecero scattare qualcosa in me, perché mia madre, la donna della mia vita, che sempre avevo amato e ammirato, non mi capiva.
«Mamma! Non ti azzardare a chiamarli così!»
Prese fiato e aprì di nuovo bocca, imperterrita.
«Mi spieghi che diavolo ne stai facendo della tua vita? Io non volevo questo per te... Dio non lo avrei mai e poi mai voluto. Ti ho detto di credere in te stessa, di creare senza limiti perché tu sei destinata a grandi cose! Fin da quando sei nata la tua strada è una, e poi sei una Reed, porti il mio cognome e quello di tuo nonno, la città ci riconosce, la città gira grazie a noi e tu, tu Katelyn! Non una qualunque! Tu crei un' orfanotrofio.»
Ebbi la consapevolezza che quelle parole avrebbero dovuto ferirmi, eppure la frase finale scatenò qualcosa di forte e implacabile, avrei lottato per proteggerlo, anche contro mia madre.
«Parte delle persone della "nostra" città sono bambini senza nulla che vivono nei vicoli peggiori e malfamati, per una volta, una, voglio fare davvero qualcosa di utile per questa città, non a scopo di lucro, non per riconfermare qual' è il mio cognome. Quei bambini non hanno nessuno. I Reed possono avere ciò che vogliono, essere i migliori e capire tutto al volo»
Dissi con tono tagliente, col sangue che iniziava a ribollire.
«ma i Reed non sanno cosa vuol dire non avere nessuno sulla faccia della terra che tenga a te, a darti cose che ti spettano di diritto. Come d' altronde molte altre persone che ti reputi importanti non lo sanno e non lo immaginano, vedi che cosa curiosa! I Reed non hanno il monopolio su tutto!»
Rabbrividì e vidi le sue mani iniziare a tremare.
«Katelyn Reed non usare certi toni con me... Non sapevo ti piacesse tanto fare la carità. Qua non si tratta di spiccioli, questa cosa comporterà enormi cifre, un cavolo di patrimonio!»
La fronteggiai, ormai ci separavano pochi centimetri.
«I soldi non sappiamo neanche più dove metterli per quanti ne abbiamo, e tu lo sai»
Delle lacrime gli rigarono le guance e per un attimo sentii il mio cuore crollare e piangere a quella vista.
«Non solo metti a rischio il tuo futuro, sai che questa cosa ti rallenterà negli studi ed io non lo sopporto. E chi è il tuo socio in questa buffonata? John Smith. Lo stesso John Smith che è il rivale per eccellenza di Keith»
Risi di nuovo, sta volta per il nervosismo, il suo nome mi fece venire la pelle d'oca.
«Che ben venga, io odio Keith, John è l' uomo migliore in qualsiasi campo e sono fiera di lavorare con lui.»
Si allontanò, scombussolata dalle mie affermazioni.
«Lui è tuo-»
«LUI NON È MIO PADRE!»
Urlai, fuori di me, e Victoria scattò in aria.

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