23. Nessuno può farci del male

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Alya

Scesi lungo le scalinate di marmo bianco, zia Victoria mi salutò, era in vestaglia, con i capelli umidi che le pendevano da un lato e una tazza fumante in mano.

Mi sedetti accanto a lei anche se il mio cuore sussultava.
Guardai la sua espressione stanca e il suo viso segnato dall' età ma pur sempre bellissimo.
Si girò e il suo sguardo si addolcì, forzò un sorriso e mi prese per mano.

Il mio cuore sussultava ogni qual volta lei mostrava di volermi bene, ogni qual volta il suo sguardo si inteneriva, ogni qual volta vedevo in lei la donna che mi aveva cresciuta e aiutata a uscire dal dolore per la morte di mia madre e la freddezza di mio padre nei miei confronti.
Quella donna che era stata il mio luogo sicuro, la mia famiglia, aveva fatto delle cose, cose brutte.
Mi sentivo morire lentamente in quei momenti perché dio, volevo sapere, perché? Perché ha fatto quelle cose? Quali erano le sue ragioni? Cosa l' ha spinta a essere tanto... Cattiva.

«Mi sembri turbata tesoro»
Tolsi lo sguardo dal terreno e lo puntai su di lei, poi forzai un sorriso.
Mi maledivo, perché le volevo bene, mi si spezzava il cuore in mille pezzi quando realizzavo di star aiutando quei ragazzi a distruggerla lentamente, e mi sentivo divisa in due. Perché? Perché lei aveva distrutto loro? No, non lei, non ne sarebbe capace, non zia Victoria.
Per quanto lottassi contro quella idea, contro quella verità, nessuno era un santo. Tutti, avevano commesso degli sbagli, nessuno era pulito, nessuno restava illeso.
«Zia... Ti voglio tanto bene» dissi con voce roca
«Oh piccola»
Mi baciò la fronte e mi circondò con le sue braccia.
La strinsi a me anche se sentivo di averla già persa da un po', stringerla a me non l' avrebbe resa innocente.
Mi sentivo in colpa, mi sentivo sbagliata perché ero loro figlia, perché a lei volevo comunque bene.
«Alya, piccola riccioli d' oro, volevo parlarti»
Mi misi subito dritta, in allerta.
«Che succede? Ancora il lavoro che va male?»
Negò subito con sguardo pensieroso.
«Non è quello che mi preoccupa, la mia preoccupazione è per il ragazzo che frequenti»
Mi irriggidii.
Victoria prese un profondo respiro e mi guardò di nuovo
«Lui non mi piace, per nulla»
Mi sentii come attaccata, come ferita, lei lo stava ammettendo, quella era la mia conferma
«È perché ha fatto il cameriere a qualche nostra festa in passato? Hai paura di cosa possano pensare gli altri?»
Sbuffò irritata.
«Non mi piace, e credo tu meriti di meglio, non qualcuno di così basso livello, e a proposito qualcuno ce l' ho in mente»
Scattai in piedi e iniziai a sentire la testa pulsare e scosse elettriche attraversarmi le dita.
«Spiegati meglio, zia»
«Non c' è nulla da spiegare! È un orfano! Nessuno gli ha insegnato le buone maniere o i valori della vita, scommetto che ha vissuto o ancora vive nella parte povera della città! Potrebbe essere anche un delinquente e a me spaventa. Ed io so per certo che è pericoloso, quindi Alya vivi questa storiella ma poi lascialo!»
Restai senza fiato, senza parole, una rabbia ceca mi pervase.
«Alya è già successo, so come finirà e non sarà piacevole! Ti vieto di farlo diventare qualcosa di serio! Ti vieto... di innamorarti di lui, lo voglio lontano dalle nostre vite»
Il suo petto si alzava e riabbassava freneticamente.
«Lui non fa per noi.» e i suoi occhi mi pregarono.

Mentre il mio cuore si infrangeva non la degnai di ulteriori attenzioni e con tutta la calma del mondo salii in camera mia.

Lo chiamai e non dovetti aspettare neanche un secondo la sua risposta.
Non gli diedi il tempo di aprire bocca.
«Hai ragione, si sente minacciata da te, sta iniziando ad avere paura» ammisi ansimante.
Eron dall' altro lato del telefono ghignò.
«Che si dia inizio alle danze allora».

Mor

Hawk era sceso dalla pedana ed io riprendevo fiato, respirando come Hawk mi aveva detto di fare, ormai da qualche minuto.
Osservavo Loid che era in un angolo della palestra della casa.

In the ShadowsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora