Missing moments: 1

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Missing moment – 1


21 dicembre 2020


"La prossima volta venite a vederla voi da me e non il contrario. Mi rifiuto di uscire ancora con questo gelo, e ci ho messo un secolo a trovare parcheggio lì fuori".

Questo il mio saluto ad Alice non appena mi accoglie a casa sua per vedere insieme l'ennesima partita.

"Ciao, sì, tutto bene, anche per me è un piacere vederti", mi accoglie lei ridendo, davanti alle porte dell'ascensore che mi portava direttamente all'interno della casa.

Questa cosa mi faceva volare ogni volta, e Paulo non smetteva di prendermi in giro perché non mi ci sarei mai abituata.

Faccio un passo avanti puntandole un dito contro, e lei risponde con un'altra risata, per poi salutarmi con un abbraccio.

"Dai, dammi la giacca, che sono già quasi in campo e i bambini ti aspettano in salotto", mi incita poi, allungando una mano per aiutarmi a togliere quel mezzo chilo di roba pesante che avevo addosso e darmi delle ciabatte pelose per scaldarmi subito.

Recupero il cellulare dalla borsa per controllare l'orario, e mi maledico per il ritardo fatto, sia per il pre-partita con Alice mangiucchiando qualcosa prima della cena, sia per il consueto messaggio a Paulo.

Era una cosa che avevo preso a fare da un po', e lui lo considerava una specie di portafortuna, perché era l'ultimo messaggio che leggeva prima di mettere via il telefono, circa un paio d'ore prima della partita.

Quando giocava la sera, il massimo orario dell'ultimo messaggio era intono alle 19:30.

Erano le 20:32.


Gran bella moglie di merda.


Il mio sbuffo infastidito è interrotto dall'arrivo dei doppi Morata juniors, che saltano giù dal divano per venirmi a salutare euforici, come ogni volta.

"Zia Bea, muoviti, comienza el partido", mi urla Alessandro, tirandomi per la mano in salotto con loro.

Alice torna da noi libera dai miei impicci, ma con le braccia impegnate a tenere l'ultimo arrivato in famiglia, il piccolo Edo, di soli tre mesi.

"Si è appena svegliato, mi sa che stanotte non si dorme", confessa Alice, mentre raggiunge il suo posto sul divano e alza il volume della tv appena in tempo per l'inno della Serie A.


La squadra giocava a Parma, e Paulo era riuscito ad avere la convocazione all'ultimo dopo una settimana estenuante, pur di recuperare da un brutto contrasto nell'ultima partita in cui aveva segnato, poco più di una settimana prima.

Non voleva fermarsi ancora, come stava spesso capitando in quell'inizio di stagione che continuava a vedere gli stadi vuoti e riempiti dalle sole urla dei compagni di squadra in panchina o gli scambi di qualche parola tra compagni sul campo.

L'ultimo gol era stata una liberazione, e l'abbraccio con mister Pirlo era stato un gesto così spontaneo e impulsivo e bello, che per poco non me lo mettevo come sfondo del telefono, se solo Kaia non avesse occupato quel posto fisso lì e nell'intera galleria del cellulare.

Era una stagione strana, in totale contrasto con quella conclusa pochissimi mesi prima che, seppur surreale per quello che il 2020 ci aveva fatto vivere, aveva visto Paulo brillare sempre di più.


Come se la chiusura forzata lo avesse reso ancor più voglioso di esplodere in campo.

Come se avesse bisogno di dimostrare quanto quella sfera di cuoio gli fosse mancata come l'aria, in quei mesi fermi e chiusi in casa, insieme a tutti i suoi compagni di squadra, con i quali aveva cercato di vedersi sempre in videochiamata, a volte tentando anche di portare avanti un allenamento di gruppo a distanza.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora