Capitolo 56

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Non avrei mai pensato di poter vivere una giornata di sole a Londra. Un sole caldo a riscaldarti le ossa, coperte dai giubbotti di pelle. Nel caldo della primavera quasi terminata.

Ci ero già stata, in questa strana città, durante una vacanza studio estiva, di quelle in cui speri di imparare meglio l'inglese, ma l'unica cosa che impari bene è il dialetto delle città degli altri italiani con cui ti ritrovi nel gruppo studio.

Londra era stata solo una tappa, di quella vacanza studio, e tutte le poche volte in cui andammo a visitarla, me la potei godere soltanto con un ombrello tra le mani, e sotto la pioggia fredda e incessante.

Questa volta, ovviamente, Paulo ci aveva portato il sole.

Ci vuole fortuna nella vita, e lui era una di quelle persone che magari decidono all'ultimo di giocarsi una schedina, mettendo risultati totalmente a caso e magari azzeccandoli tutti.

Però se la meritava tutta, quella fortuna.

E ci aveva portato il sole.

Lo stesso sole che c'era stato a casa mia, al sud, nei giorni precedenti, in cui ci ero tornata con lui.

Mi aveva chiamata, tornando a casa dall'allenamento che poi non c'era stato più e mi aveva detto: "Il mister ci ha dato una settimana di vacanze. Prepara le valigie, stasera andiamo a casa tua".

Inutile parlare della gioia, e dell'immensa emozione provata nel vederlo muoversi tra le mura di casa mia, entrare nella mia stanza, con l'intera mia adolescenza presente palesemente lì, tra i muri pieni di poster e librerie piene di romanzi e classici letti negli anni delle medie e del liceo; osservare lui che guarda mia madre cucinare per tutti e poi mangiare insieme, passare ore sdraiati sul prato verde del mio giardino con il mio cane al suo fianco, totalmente preso dalle attenzioni che Paulo gli regalava.

Era stato bello vederlo intrufolarsi la sera nella mia stanza solo per poter commentare a bassa voce le cose fatte in giornata, baciarmi come non aveva potuto fare nella giornata di fronte alla mia famiglia, per poi tornare a dormire nella sua, di stanza, separati.

Mio padre era fatto così.

Buono come il pane, ma con le sue regole, quando serviva.

Era stato bello vederlo parlare con i miei nonni, attento alle loro parole ed incantato dai racconti della loro giovinezza, tanto simile alla sua infanzia, vissuta nella sua piccola Laguna Larga, in Argentina.

"Non avrei mai pensato che mi avresti portato un fidanzato più bello di te", era stato il commento di mia nonna, sempre diretta e senza peli sulla lingua.

Ma la amavo anche per questo, ed era vero, quel che diceva.


Osservo divertita Paulo che prende in giro il cane di sua mamma, facendolo correre senza un motivo in particolare, da una parte all'altra del prato in cui siamo seduti tutti. Cinque minuti prima sua nipote Dolores lo aveva raggiunto per fermarlo, dispiaciuta per la piccola Abba.

E poi niente, lui le aveva fatto capire quanto fosse divertente la cosa e adesso erano in due, a prenderla in giro.

Scuoto la testa, rassegnata dalla loro stupidità, e mi giro a raggiungere persone mature, come Alicia che, seduta ad una panchina di legno e un tavolo, prepara il mate per tutti.

"Paulo mi ha detto che non l'hai mai assaggiato", mi dice, quando la affianco.

"Paulo ha ragione... sono una cattiva fidanzata?" chiedo scherzosamente, facendola ridere.

"Nemmeno io me vado matta, ma nella nostra famiglia è una tradizione. Il padre di Paulo ha cominciato a farlo bere a loro sin da bambini" racconta, senza riuscire a togliersi un dolce sorriso dal viso, incapace di nascondere un velo di tristezza.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora