XXI.

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Annabeth sentì una forte fitta al petto, il respiro le si mozzò in gola, il suo corpo sembrava essere stato svuotato da ogni energia, le faceva male ogni centimetro di pelle scoperta e...spalancò gli occhi all'improvviso tornando a respirare.

L'aria le invase di nuovo i polmoni, costringendola a chinarsi e a tossire; si sentiva stremata, stanca, esausta, come se le avessero prosciugato le forze. Tremava e veniva scossa dai brividi, mentre il petto le ardeva come un fuoco.

Dei puntini le danzarono davanti agli occhi, ma riuscì a mettere a fuoco ciò che aveva difronte: stava osservando il soffitto di un letto a baldacchino.

Non ricordava molto di ciò che era successo, aveva una vaga idea di come ci era finita lì ma una cosa era rimasta impressa nella sua mente: Percy. Ricordava lo sguardo preoccupato del ragazzo e le sue grida che a gran voce gridavano il suo nome prima che lei svenisse e fosse portata via, le erano rimaste stampate nella mente come un martello che colpisce sempre nello stesso punto.

Voleva alzarsi, gridare il suo nome, chiamarlo, baciarlo, sentire il suo odore...aveva bisogno di lui. Nel muoversi sentì un rumore metallico accanto a sé, accompagnato da un forte dolore ai polsi; volse lentamente la testa e si rese conto di essere imprigionata da delle grosse catene.

Fu allora che si accorse di trovarsi in una camera da letto: le lenzuola e il materasso che l'avvolgevano erano morbide e setose, cosparse però da tre centimetri di polvere; il soffitto era alto, mostrava un grande lampadario con delle candele, il letto imponente si estendeva occupando metà della stanza, un forte odore di incenso le fece pizzicare il naso, al lato della stanza quattro enormi finestre illuminavano la polvere presente sul pavimento in marmo e una specchiera in legno antico rifletteva alla luce del sole.

La ragazza si tirò a sedere lentamente. La testa le pulsava da morire, ma non le importava, tutto ciò che voleva era fuggire per poter tornare da Percy; le catene, però, le impedirono di fare ciò: la tirarono indietro come una molla e la ragazza finì distesa sul materasso polveroso. Imprecò sottovoce.

Non aveva idea di dove si trovasse ma era sicura che quel posto non le piacesse e doveva trovare un modo per andarsene in fretta; non metteva in dubbio il fatto che Percy sarebbe accorso in suo aiuto, ma non voleva si arrivasse a tanto: se poteva evitare uno scontro l'avrebbe fatto.

Allora diede uno sguardo alle finestre: erano larghe e spaziose, grandi abbastanza da far passare una persona e, se solo fosse riuscita a raggiungerle, sarebbe potuta scappare chinandosi giù. C'era, però, ancora il problema delle catene: doveva trovare il modo di liberarsi, ma non aveva niente di appuntito con sé, come avrebbe fatto?

Non ebbe il tempo di pensare a niente che la porta enorme della stanza venne spalancata con insistenza. Un forte rumore si propagò nella camera seguito dall'entrata di due persone. Annabeth si mise a sedere stringendo forte i pugni intorno alle spesse catene.

La scena che aveva davanti la turbò profondamente: un uomo magro e mingherlino scompariva difronte alla presenza di un uomo robusto e paffuto; le sue regali vesti fatte interamente d'oro brillavano e riflettevano la luce del sole che proveniva dalle grandi finestre, il suo sguardo era duro e malizioso, i due occhi marroni pieni di avarizia e di avidità, i ricci capelli scuri gli incorniciavano il volto sbilencò, mentre l'imponente tiara rossa che aveva in capo sbilanciava la sua figura e si abbinava agli imponenti guanti rossi che gli avvolgevano le mani.

Era chiaramente qualcuno rispuntato dal passato, qualcuno che ad Annabeth non stava particolarmente simpatico. L'uomo con le vesti dorate si fermò ai piedi del letto e osservò la ragazza con un ghigno sul volto.

𝓘𝓵 𝓯𝓪𝓽𝓸 𝓭𝓮𝓲 𝓯𝓾𝓸𝓬𝓱𝓲 𝓲𝓶𝓶𝓸𝓻𝓽𝓪𝓵𝓲 𝓭𝓲 𝓞𝓵𝓲𝓶𝓹𝓪-𝓟𝓙Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora