CAPITOLO 38

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Sto ritornando a casa.


Edward mi ha chiamato un paio di volte ma non ho risposto.


Basta dirmele le cose, senza fare giri di parole.


Non mi frega se ero tentata dal sentire nuovamente la sua voce, e che mi pentirò.


Anche io ho una pazienza, e una dignità.


Le strade sono  desolate, ed è strano.


"Gemma, aspetta"  chi è?


L'uomo, nero.


"C-cosa? Che vuoi ancora?"


"Nulla, io devo...parlarti"


"Magari con la bocca e non con i pugni"


"Gemma, io mai e poi mai avrei pensato di violentarti. Ti giuro, mai l'avrei fatto"


Perché ora è cosi gentile?


Sono confusa, perché non l'avrebbe fatto?


"In tanto, sono stata in ospedale, e esco sempre con il timore di incontrarti"


"Io non voglio questo, non potrei mai farlo, non è stata colpa mia era un gruppo di criminali che mi drogavano e mi dicevano di farti questo"


Cosa? E perché proprio a me?


"Perché a me? "


"Gemma non è facile, lasciami spiegare"


"Si appunto, spiegami"


"Tuo padre non è morto, non è stato assassinato.  È sempre stato vivo, ha passato tantissimi anni a cercarti da quando un gruppo di criminali l'ha rapito. Tanto tempo per cercarti e quando ti ha trovata, costretto da quei stronzi ti ha fatto del male, ma lui solo ora ha saputo chi sei. Gemma, tuo padre è qui, e sono io"


Non posso crederci.


Lui mi violentava non sapendo che ero sua figlia.


Era costretto,  era drogato.


I miei occhi.


Prima piangevo per Edward, ora piango per questa persona, mio padre.


Io non so cosa dire, cosa fare.


"P-papà"


Gli vado incontro abbracciandolo, e si toglie quel maledetto cappuccio, che rendeva segreta la sua identità.

Dream in the sky.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora