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«Siediti sulla sedia» supplicò Keisha, congiungendo le mani. «Ti prego.»

Ancora stentava nella pronuncia di alcune parole, ma aveva fatto notevoli progressi da quando era arrivata a casa. Nella Sierra Leone parlava il mende, lingua tipica del sud, e capiva il krio, un misto di inglese e creolo parlato da una minoranza della popolazione; comunicare con lei in inglese era stato difficile, ma non impossibile. Insegnarle a parlarlo, invece, era tutta un'altra storia.

«Sofia! Ti prego.»

Lo sguardo di tutti era puntato sulla ragazza. Se avesse rifiutato sarebbe stata etichettata come la "cattiva" della situazione ancora una volta. Non capiva perché Keisha si ostinasse a chiederle certe cose; era una bambina intelligente, percepiva che Sofia non provasse molta simpatia per lei, eppure insisteva nel ricordarle che ormai faceva parte della famiglia, che lei lo volesse o no.

«Se mi siedo sulla sedia starai buona?»

«Per l'amor del cielo!» esclamò la madre. «Ci tiene tanto, falla contenta.»

«Questa non me la posso perdere! Dove sono i popcorn?» intervenne Nicholas dal divano.

Allie gli tirò una gomitata.

«Sì, vai a prenderli» lo incitò la sorella. «Così te li verso in testa. Mi siederò su quella sedia e starò ferma. Non imito nessuna ballerina. Hai capito, Keisha? Te lo scordi.»

La bambina era troppo eccitata per prestarle attenzione. Saltellava per il salone battendo le mani, le treccine nere che le rimbalzavano sulla schiena.

Sofia si appollaiò sulla sedia e continuò a lavorare ad uno sketch sul suo quaderno. Tra qualche fine settimana Keisha si sarebbe esibita a teatro in uno spettacolo di danza e ci teneva a mostrare a tutti la sua parte in anteprima. Teoricamente avrebbe dovuto alternare i passi con una compagna, ma in quel momento la sua migliore opzione era Sofia. Vai a capire i bambini. Avrebbe potuto eseguire il suo numero da sola, ma la presenza della sedia vuota non le stava bene. Voleva che qualcuno occupasse il posto della sua amica. Sofia era contenta che Keisha potesse finalmente partecipare a uno spettacolo, eppure qualcosa la frenava dall'esternare quell'emozione.

Ci erano voluti mesi e l'aiuto di una psicologa infantile, ma alla fine si era scoperto che il suo più grande desiderio era ballare e mostrare agli altri la sua passione. I genitori l'avevano subito iscritta a una scuola di ballo e ora, finalmente, il grande momento era arrivato. Keisha era pronta.

«Allora» istruì Keisha «quando ti dico "alzati" ti alzi, e quando ti dico "siediti"...»

«Mi siedo. Ho capito. Non è difficile» rispose Sofia da sopra il quaderno.

«Tu non mi guardi?»

«Sto disegnando. E poi che gusto c'è a vedere lo spettacolo prima? Non c'è l'effetto sorpresa.»

Keisha la fissò con i suoi occhioni scuri.

«Okay, ho capito. Hai vinto.» Posò matite e quaderno sul divano. «Su, cominciamo.»

La bambina si mise in posa accanto alla sedia, il padre fece partire la musica e lei prese a danzare a ritmo. Fece piroette, salti, spaccate. Ogni tanto spingeva Sofia dalla sedia perché era troppo lenta a spostarsi e l'avrebbe mandata fuori tempo. Doveva ammetterlo, era brava e aggraziata. Si fondeva completamente con la musica, immersa in un mondo tutto suo.

Quando il brano terminò, i presenti si lanciarono in applausi e abbracci. I genitori la acclamarono come se fosse a Broadway. Sofia non ricordava che avessero mai fatto nulla di simile per lei e Nicholas, eppure Nic non ci dava peso; anzi, si comportava come loro. Era contento della presenza di Keisha in famiglia, diceva che aveva portato una ventata di gioia che mancava da tempo.

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