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Erano le otto di sera passate, ma Will ormai non riusciva più a distinguere un giorno dall'altro. Erano tutti uguali. Aveva preso un autobus con impazienza e divorato la strada a grandi falcate, il cuore gonfio che gli premeva contro la gabbia toracica. Si era perfino dimenticato di cenare, e tutto per raggiungere l'ospedale il prima possibile. Seguire le lezioni nel pomeriggio era stato straziante, tra i mille pensieri e la stanchezza. Fortuna che in ospedale ad attenderlo aveva trovato sua zia Sarah. Incassare le novità di Martha sarebbe stato meno doloroso.

Erano entrambi in piedi nell'atrio, in attesa che l'infermiera facesse capolino, e sua zia lo guardava da cinque minuti buoni senza sapere cosa dire. Era uno di quei silenzi che fanno rumore. Alla fine accarezzò la guancia di Will con la sua mano calda, in un gesto che al ragazzo ricordava tanto la madre.

«Tesoro, non puoi continuare così. Lasciati aiutare. Il fatto che Michael sia una tua responsabilità non vuol dire che ti debba fare carico di questi problemi da solo.»

«Lo so, zia. E ti sono grato per essere qui stasera.»

La donna frugò nella borsa e ne estrasse un involucro. «Tieni, ti ho preso un panino venendo qui. Sapevo che non avresti avuto tempo per mangiare.»

Will lo prese riluttante e sorrise. Non aveva fame in quel momento, ma lo avrebbe conservato per dopo.

«Se faranno uscire Michael stasera, potrebbe stare con me e Stephen per qualche giorno. Che ne dici?»

La proposta di Sarah era allettante, ma l'ultima cosa che Will voleva era che suo fratello pensasse di essere un peso per lui. Più di tutto, sentiva il bisogno di averlo accanto, come se potesse sparire nel momento in cui non lo avesse più avuto sotto gli occhi. «Magari potresti passarlo a prendere domani mattina. Sarà stanco, e poi deve prendere le sue cose da portare...»

«Certo. Nessun problema. Almeno lascia che vi dia un passaggio a casa con la macchina.»

«Sì, va bene.»

Will catturò un movimento con la coda dell'occhio. Sollevò la testa e vide Martha, ma dalla sua espressione non riuscì a decifrare quello che sarebbe seguito.


Will rimase accanto a Michael finché non si addormentò, sovrastato dalle stelle adesive che si illuminavano al buio incollate al soffitto. Le aveva attaccate con il padre quando il fratellino era appena nato; erano familiari come una fotografia, come il giocattolo di cui non ci vogliamo sbarazzare perché è legato a dei momenti felici.

In cucina lo attendevano Aaron, due birre e il panino della zia Sarah.

«Si è già addormentato?» gli chiese l'amico.

Lui annuì e diede un morso al panino. Il suo stomaco lo ringraziò silenziosamente. «Era stremato.»

«Cosa ti hanno detto in ospedale? Come sta?»

«Sta migliorando. Sembra quasi un miracolo. Le cure stanno facendo effetto e la leucemia sembra regredire.»

«Amico, è fantastico. Fantastico. Vedrai che si riprenderà presto, è un ragazzo forte.»

Will sospirò. Non riusciva a frenare i pensieri, non riusciva ad essere così ottimista. «Martha mi ha detto che, nonostante le cure, il rischio di una recidiva è parecchio alto. Ci sarebbero delle buone possibilità di guarigione con un trapianto di midollo, anche se si tratta di un intervento invasivo e, tra le complicazioni, ci potrebbe essere il rigetto. Inoltre il prezzo è proibitivo.» Will tracannò la birra, sperando che l'alcol gli desse il coraggio di proseguire la frase. «Martha ha detto che nei giovani il trapianto è molto più efficace e che il rischio di rigetto diminuisce notevolmente se il donatore è un familiare. Le liste per i donatori, poi, hanno tempi d'attesa infiniti... »

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