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Per Will era un sabato come un altro a Boston. Aveva accompagnato il fratello in ospedale per i suoi controlli di routine e aspettato che la zia lo passasse a prendere, aveva lavorato in officina e nel tardo pomeriggio era di ritorno a casa. Aveva in programma di mettersi in pari con lo studio e doveva portare avanti un progetto che gli era stato assegnato dall'università.

I ragazzi della sua età trascorrevano il sabato sera in locali e discoteche, oppure andavano a vedere partite di football; lui non ricordava nemmeno più il suo ultimo sabato passato con gli amici. Avrebbe potuto farlo. Michael non era a casa e lui avrebbe comunque trascorso la serata sul divano finché non fosse crollato, ma non aveva lo spirito giusto per uscire. Da quando avevano discusso, lui e Michael non avevano più affrontato il discorso del trapianto. Ne aveva parlato con Martha e con la zia. Quest'ultima si era offerta di far ragionare il ragazzo ma, sebbene minorenne, l'ultima parola spettava sempre a lui.

Mancava poco per raggiungere l'appartamento. A un tratto, con la coda dell'occhio, Will vide una ragazza che camminava in tutta fretta e che parlava animatamente al telefono. Non poté fare a meno di notarla, quel timbro di voce era così familiare... Quando si voltò, il suo cuore perse un battito. Capelli dai riflessi rossicci, occhi verdi, media statura. Era la ragazza del negozio di fiori. Anche lei, quando lo vide, sussultò e si fermò in mezzo alla strada. Quel secondo le fu fatale. Un taxi aveva appena svoltato l'angolo a tutta velocità e non aveva calcolato che la ragazza si sarebbe potuta fermare in quel punto. Provò a frenare, ma la colpì ugualmente. Will provò a gridarle di spostarsi, ma la sua voce non emise alcun suono. Il tassista si affrettò a scendere dalla vettura per soccorrerla e i passanti che avevano assistito all'accaduto fecero altrettanto. Quando Will si riprese dallo spavento, prese immediatamente il cellulare e chiamò il 911.

Corse in strada con il cellulare ancora premuto contro l'orecchio, facendosi spazio tra la folla.

«Fatemi passare. La conosco.» La conosco? Cosa stava dicendo? Non sapeva nemmeno il suo nome.

Will le si inginocchiò accanto. Aveva un piccolo taglio sulla fronte e i palmi sporchi di nero, ma si stava riprendendo. L'impatto non era stato tanto forte.

Lui si mise di fronte al suo viso e le posò una mano nell'incavo del collo, come per proteggerla dal trambusto che c'era attorno a loro. La ragazza stropicciò gli occhi e si tastò la fronte, poi provò a mettersi in piedi.

«Che è successo?» Sembrava meravigliata quanto Will da quell'incontro inaspettato.

«Sei stata investita da un taxi. Ho chiamato un'ambulanza. Come ti senti? Ce la fai ad alzarti?» Le afferrò la mano e si lasciò circondare le spalle dal suo braccio. «Vieni, togliamoci dalla strada. Ti porto al marciapiede, okay?»

Lei annuì. Zoppicava leggermente, ma riusciva a camminare. «Non voglio andare in ospedale» mormorò. «Non posso. La serata... Il teatro...»

Will non aveva minimamente idea di cosa stesse parlando, ma in quel momento si udì l'inconfondibile suono delle sirene dell'ambulanza.

«Non voglio andare in ospedale» ripeté.

«Non ti preoccupare» fece Will. «Ora parlo io con i paramedici. Ti faranno un rapido controllo e, se è tutto a posto, potrai tornare a casa.»

«Sembri esperto.»

Purtroppo sì. Si avvicinò ai soccorritori, spiegò rapidamente l'accaduto e aiutò la ragazza a salire sul veicolo. Le fecero delle domande e alcuni controlli, medicarono il taglio sulla fronte e le raccomandarono di recarsi in ospedale se avesse accusato sintomi quali nausea, vertigini, giramenti di testa. Quando Sofia scese di nuovo dall'ambulanza la folla si era diradata, ma il tassista era ancora in attesa al lato del marciapiede. Fu un gran sollievo per lui sapere che Sofia stesse bene.

Quando Will e Sofia rimasero da soli, l'imbarazzo era palpabile per entrambi.

«Grazie per... avermi soccorsa» sussurrò lei.

«Forse sono anche la ragione per cui hai avuto l'incidente, quindi te lo dovevo.»

«No, assolutamente. Sono stata una stupida.» Si issò la borsa sulla spalla e controllò l'orologio. «È tardissimo. Prometto che un giorno mi sdebiterò con te, ma devo proprio scappare.»

«Lascia che ti accompagni» si offrì Will.

«Oh, non ce n'è bisogno, davvero. Ti ho già disturbato abbastanza. Spero di rivederti presto.»

Sofia si voltò e si incamminò, ma qualcosa la costrinse a fermarsi dopo pochi passi. Sentiva un'ansia crescerle nel petto e farle battere forte il cuore. Le sue gambe presero a tremare. Forse era colpa dello spavento, forse della stanchezza, ma si sentiva come se i suoi arti fossero fatti di cemento. Si appoggiò al muro di un edificio e vi si accasciò contro. Nel periodo in cui aveva rotto con Jason aveva sofferto di attacchi di panico, ne riconosceva uno quando bussava alla porta. Doveva respirare. Doveva calmarsi.

Will si accorse da lontano che qualcosa non andava. Quando la raggiunse, la ragazza per poco non gli cadde addosso.

«Che succede?»

«Niente, solo...» Sofia posò le mani sulle ginocchia e chinò la testa, prendendo lunghi respiri. «È lo spavento.»

«Stai tranquilla, sono qui con te.» La situazione, però, non sembrava migliorare. «Dimmi come posso aiutarti.»

«Devo... respirare. Non riesco a...»

Will non ci pensò su due volte. Le passò un braccio dietro le spalle e uno dietro le ginocchia, la sollevò e raggiunse il suo appartamento. Non sapeva il suo nome né dove abitasse, ma sicuramente aveva bisogno di un posto in cui riposare. Non poteva lasciarla lì così.

Forse il suo sabato sera non sarebbe stato uguale a tutti gli altri.

Quando arrivò a casa, Will la stese sul suo letto e la coprì con una coperta. Lei schiuse per un secondo le palpebre e lo fissò, come a volerlo ringraziare, poi chiuse di nuovo gli occhi e il suo respiro si fece pesante. Will non si era mai preoccupato in quel modo per una persona che non fosse Michael. L'aveva stretta al petto, aveva sentito il suo cuore battergli contro la pelle e, se avesse potuto, non avrebbe smesso di ascoltarlo.

Andò in bagno e si lavò il viso con l'acqua ghiacciata, poi rimase a fissare il suo riflesso allo specchio. Cosa stava facendo? Cosa gli stava succedendo? Aveva mille responsabilità, non poteva assumersene un'altra. Ma ormai ci era dentro fino al collo.

Andò in cucina per preparare qualcosa da mangiare e pensò di chiedere alla ragazza se avesse fame, ma riposava così beatamente che non voleva svegliarla. A un tratto il cellulare della ragazza squillò nella sua borsa. Era sbagliato frugare nelle borse altrui, ma poteva trattarsi di qualcuno in pensiero per lei. Sì, in effetti la stavano chiamando con insistenza a giudicare dalle chiamate perse, ma il vetro era rotto e il touch era andato. Scavando nella borsa trovò il portafoglio. Will riteneva che fosse importante conoscere l'identità della ragazza, nel caso la stessero cercando, così prese la sua carta d'identità e lesse il nome. Per poco non gli prese un colpo. Per la seconda volta.

Sofia Reed. La ragazza del negozio di fiori era anche la ragazza delle lettere.

Tutti i colori dell'UniversoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora