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Quando Will terminò il turno in officina, alle sei di sera, il sole doveva ancora tramontare del tutto. Le giornate si stavano allungando, segno che la primavera era alle porte. Aveva un pensiero fisso: chiamare Sofia. Ora che aveva il suo numero di cellulare, provava lo smodato desiderio di sentire la sua voce. Tuttavia, non riusciva a credere che le avesse dichiarato di amarla e che lei avesse risposto con una non-risposta! Poteva solo sperare che i drink che aveva bevuto le avessero fatto dimenticare quella parte della conversazione.

Entrò nel palazzo e salì i gradini a due a due, già proiettato verso la sua meritata doccia. Era l'unico momento della giornata in cui poteva rilassarsi e illudersi che l'acqua lavasse via i suoi pensieri.

Sul pianerottolo del primo piano accadde una cosa alquanto strana. Incontrò un'anziana signora che abitava lì da molti anni; la salutò come sempre e lei, di tutta risposta, fece un mezzo sorriso e gli disse: «Tanti auguri, ragazzo.»

Will non fece in tempo a rispondere che la donna si era già allontanata. Non era il suo compleanno, né cadeva qualche ricorrenza particolare, quindi non capì il significato di quelle parole. Non ci diede peso. Era anziana, doveva aver confuso il giorno.

Continuò a salire le scale finché non arrivò al suo piano e... Sofia era seduta per terra accanto alla sua porta. Quando lo vide si mise subito in piedi, con il suo solito sorriso imbarazzato ma dolcissimo.

«Ciao Will» lo salutò.

«I nostri incontri diventano sempre più insoliti» rispose, non appena riuscì a ritrovare la parola. «Da quanto tempo mi stai aspettando?»

«Un'oretta, credo. Michael non è in casa?»

Will inserì la chiave nella toppa e aprì la porta. «È da nostra zia.»

Lasciò la porta aperta, ma Sofia rimase sulla soglia.

«Ero solo passata per sapere come stai.» Lo disse con molta naturalezza, ma Will notò la sua velata agitazione.

«Sto bene. Il taglio è guarito completamente.»

«Lo vedo.»

Will si appoggiò con un braccio allo stipite. In quel modo Sofia era a pochi centimetri da lui, le punte delle scarpe che non osavano sorpassare il confine tra il pianerottolo e l'appartamento.

Lei lo guardò intensamente con la testa reclinata all'indietro. «Ma tu come stai, Will?»

«Meglio, ora che sei qui. Entra.» Il suo tono era urgente, impaziente. Non poteva farne a meno.

Lei obbedì con riluttanza mentre lui si scostava per farla passare. «Lavori da qualche parte?» gli chiese, indicando la divisa che ancora indossava.

«Sì, lavoro in officina da un amico di mio padre. Credo che si capisca dalla puzza di olio bruciato.»

Sofia arricciò il naso, poi si mise a ridere. «Sì, forse... Un pochino.»

«Posso offrirti qualcosa?»

«No, sono a posto. Ti ringrazio.»

Will si passò una mano dietro la nuca. «Okay, allora accomodati. Io vado a farmi una doccia e arrivo. Ci metto un attimo.»

«Fai con calma.» Sofia posò la borsa e si sedette sul divano. Era tesa, lo si capiva dal modo in cui non riusciva a stare ferma un attimo.

Will andò in bagno, si spogliò degli abiti da lavoro e si posizionò sotto il getto d'acqua tiepida con urgenza febbrile. Si insaponò, rimuovendo i residui di grasso dalle braccia e dal collo, e cercò di concentrarsi su qualsiasi cosa che non fosse Sofia. Nulla. Il suo corpo lo tradiva, attratto come una calamita dalla ragazza che era al di là della porta.

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