Il cofano della macchina si richiuse con un suono sordo. Will si asciugò la fronte con l'avambraccio, imbrattandosi la pelle di nero, e andò a posare gli attrezzi da lavoro.
«Matt, questa è sistemata!» disse al suo capo. «Aveva un problema al motore. Vado a farmi una doccia.»
«Sì, lasciala pure lì. Ci penso io» rispose l'uomo, intento a sistemare un'altra macchina sul ponte.
Will prese il cellulare dal bancone su cui l'aveva abbandonato e controllò l'orario. Erano le due del pomeriggio, ma se si fosse sbrigato sarebbe arrivato a lezione in tempo. Non c'erano notifiche per lui, nemmeno un messaggio da parte di Martha.
Prese dei vestiti puliti dallo zaino e si diresse sul retro, dove c'era un piccolo bagno di servizio. Alla parete era fissata una bocchetta arrugginita che buttava più acqua fredda che calda; si era fatto la doccia lì talmente tante volte che ormai non ci faceva più caso.
L'acqua ghiacciata sembrava sfrigolare sulla sua pelle accaldata e gli regalava una sensazione di risveglio. Poggiò le mani al muro, i muscoli delle spalle in tensione, e chiuse gli occhi mentre l'olio motore scivolava ai suoi piedi. Quando si sentì abbastanza pulito si asciugò in fretta e furia e sostituì la divisa da lavoro con un paio di jeans e una semplice felpa grigia.
Will salutò il suo capo con un cenno delle dita. «Ciao Matt. Grazie per la doccia.»
«Ragazzo, aspetta un secondo. Vieni qui.»
Lui lo raggiunse con una certa urgenza.
«Tieni, questi sono tuoi.» Gli consegnò una busta con il suo nome scritto sopra. «La paga del mese più un piccolo extra. Hai lavorato sodo e te ne sono grato.»
Will si sentì avvampare. «Matt, ti ringrazio ma...»
«Non dire altro» lo bloccò. «Lo sai che non mi piacciono le smancerie. Ah, un'altra cosa. C'è un tuo amico qui fuori, ti è venuto a cercare.»
Il ragazzo annuì in segno di silenziosa gratitudine e diede all'uomo una pacca sulla spalla. «Ci vediamo domani, Matt. Buona serata.»
«Mi trovi sempre qui» scherzò. Tante volte si era lamentato del fatto che si sentisse troppo vecchio per quel lavoro, ma che fosse un buon modo per sfuggire alle continue pretese della moglie. Will lo compativa un pochino, ma non poteva fare a meno di ridere.
All'uscita dell'officina, appoggiato con le spalle al muro, c'era un ragazzo dalla pelle olivastra e i capelli corti e neri nascosti sotto un cappello con la visiera. A Will non servì che si voltasse per riconoscerlo. Era il compagno di classe di una vita e il miglior giocatore di basket che avesse mai conosciuto. Viaggiava spesso con la squadra per via delle partite, quindi lo vedeva di rado.
«Non ci credo! Aaron!»
«Fratello!» Lo abbracciò dandogli delle pacche amichevoli. «Ti trovo bene.»
«Anche io. Più che bene. Da dove arrivi?»
«Dalla California, Will. Abbiamo giocato la migliore partita della nostra vita. Ma come vedi, il mio cuore mi porta sempre da te.»
Will gli diede una leggera gomitata. «Sì, come no. A parte gli scherzi, mi sei mancato.»
Aaron gli rivolse un'occhiata complice. «Non troverai mai una ragazza con cui mangiare tacos fino a scoppiare alle quattro di mattina, questo è sicuro. Sono insostituibile.»
«Già. E a te come va con Wynona? Non deve essere felice di questa relazione a distanza.»
«Fratello, stai toccando un tasto dolente. Ci siamo lasciati. Magari te lo racconto davanti a una birra stasera, che ne dici? Vedo che vai di fretta.»
Will sentì il peso delle responsabilità, della rinuncia, quella sensazione provata già innumerevoli volte. «Michael è in ospedale e dovrebbero dimetterlo stasera, quindi... Magari un'altra volta.»
«Non devi aggiungere nulla, Will. Sai cosa facciamo? Mandami un messaggio più tardi per aggiornarmi sulle novità. Ti raggiungo stasera e ci beviamo una cosa da te, così non dovrai lasciare Michael da solo.»
Will avrebbe voluto abbracciarlo di nuovo. Forte. Aaron c'era sempre stato per lui. Era stato accanto a lui al funerale quando i suoi genitori erano morti, quando era stato dato in affidamento agli zii, quando Michael si era ammalato. Ma lo ricordava al suo fianco anche nei momenti più belli e spensierati della sua vita. Alla sua prima cotta, alla sua prima scazzottata, in tutte le foto di compleanno da quando si erano conosciuti all'età di undici anni. Aaron e Michael erano la sua famiglia, le uniche persone per le quali avrebbe sacrificato se stesso.
Per questi e altri motivi, Will si limitò a ringraziare l'amico con gli occhi e a stringergli la mano con il tipico saluto che avevano inventato alle scuole medie.
«Ah, un'ultima cosa, e poi giuro che ti lascio andare. Un'oretta fa ho incontrato Lindsey, la tua compagna di corso. Ci siamo messi a parlare di te e le ho domandato dove fossi per passarti a trovare. Lei veniva dall'università e mi ha chiesto di lasciarti questa.» Gli porse una busta da lettere. «Ti è stata assegnata e doveva portartela, ma... il caso ha voluto che diventassi io il postino della situazione. Mi ha accennato a un progetto a cui state partecipando.»
«Sì, è una lunga storia.»
«Bé, me ne dovrai assolutamente parlare stasera, perché al pensiero di te che giochi a fare Shakespeare già mi viene da ridere!»
«Fidati, siamo in due.»
Ed era vero. Scrivere lettere a un estraneo era l'ultimo dei suoi problemi.
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Tutti i colori dell'Universo
RomanceWill si appoggiò con un braccio allo stipite. In quel modo Sofia era a pochi centimetri da lui, le punte delle scarpe che non osavano sorpassare il confine tra il pianerottolo e l'appartamento. Lei lo guardò intensamente con la testa reclinata all'...