A quel tema in classe,
al covid19,
a Nonno Nicola.Ciao nonno, sono io.
Ti scrivo spesso, lo sai, ma questa volta non perché sia il tuo compleanno, la festa del nonno, il tuo anniversario con la nonna o altro, anzi.
Oggi sembrerebbe un giorno qualsiasi, uno come tutti gli altri, e ti starai chiedendo il motivo di questa lettera. Me lo chiedo anch'io, sai.
Stamattina mi sono svegliata presto, avevo tante cose da fare. Oggi a scuola ci hanno assegnato un tema importante: parlare della pandemia, del virus che è arrivato in punta di piedi e ha stravolto le nostre vite, parlare di noi, di come ci siamo sentiti durante quest'anno e come ci sentiamo ora, in piena terza ondata.
Ho pensato di scriverti, se c'è una persona a cui voglio raccontare tutto questo quella sei tu.
Ho paura, nonno.
Ti mentirei se ti dicessi che non fosse così.
Ho paura di sbagliare, ho paura di perdere le persone che amo, ho paura che le cose non possano tornare mai più esattamente come lo erano prima, ho paura di aver smarrito la mia normalità, di non sapere più come si viva, di aver perso il contatto con le persone, quel sottilissimo filo che ci lega e che il virus non fa altro che tirare e tirare continuamente con lo scopo di recidere.
Proprio ora come non mai, vorrei gettarmi tra le braccia di chi amo, stringerli al petto e non lasciarli mai, proprio ora mi sono accorta di quanto sia bella la sensazione di qualcuno che ti stringe la mano, che poggia la sua testa sulla tua spalla e chiude gli occhi, che ti accarezza i capelli, che ti sussurra all'orecchio quanto ti voglia bene, quanto sia bello mettere la musica e ballare in coppia, fare le giravolte, festeggiare, ridere, baciarsi le guance.
Proprio ora mi sono accorta quanto tutto ciò mi manchi terribilmente. Penso a quanto il virus ci abbia tolto e a quanto stia continuando a minacciare la spensieratezza delle nostre giornate.
Invece, quando non ho paura, sono inevitabilmente travolta dalla tristezza.
Mi guardo intorno e non capisco più nulla, osservo il mondo e non lo riconosco, guardo le persone dal finestrino dell'auto e mi rattristo: sembrano dei fantasmi che vagano su questa terra, soli, tristi, pensierosi, preoccupati.
E mi chiedo se anch'io, agli occhi degli altri, appaia così. Dovresti guardare le loro facce, nonno.
La mascherina ti permette di scorgere solo gli occhi e ciò è sufficiente per comprendere le loro anime.
Sono occhi tristi.
Gli occhi di chi ha perso tragicamente qualcuno, di chi non può vedere i propri cari, di chi ha la costante paranoia di ammalarsi, di contrarre il virus, di finire in isolamento, di dividersi dalla propria famiglia o peggio, di essere la causa del malore di quest'ultima.
Sono gli occhi di chi non crede nello stato, nel governo, di chi ha paura di non sopravvivere a fine mese, di chi non ha più un soldo in tasca, una casa in cui restare con la consapevolezza di non potere più uscire a causa della zona rossa, di chi ha una famiglia da mantenere e non sa più cosa fare, di chi ha paura di soccombere non per il virus ma per la depressione, per la fame, per la disperazione.
Sono gli occhi di chi ha paura di morire, nonno.
Prima ti ho detto che è un giorno come tutti gli altri, ma in realtà è un giorno importante.
Lo è perché stiamo vivendo una pandemia, è vero, ma prima di tutto "stiamo vivendo".
Oggi è un giorno in più, un giorno in cui apriamo i nostri occhi e stiamo bene, respiriamo, siamo vicini alla famiglia. Stiamo soffrendo tutti, forse qualcuno più di altri, ma siamo ancora in vita.
Stringiamo i denti e i pugni, piangiamo di nascosto, singhiozziamo per lo stress, per il nervosismo, per le mancanze, per le brutte notizie, crolliamo e barcolliamo oppressi dalle circostanze, dalle restrizioni, dal silenzio tombale durante il telegiornale, ma la verità è che esistiamo e resistiamo.
Il virus è un nemico troppo grande, troppo difficile da sconfiggere, esso è logorante, spietato, non guarda in faccia a nessuno, miete vittime in ogni dove e in maniera spropositata.
E ci viene detto che buona parte della responsabilità è tutta nelle nostre mani, in quelle dell'umanità intera, che bisogna rispettare le regole, comportarsi in maniera civile, collaborare, fare dei sacrifici, rinunciare al nostro presente nella speranza di un futuro sereno, migliore, diverso.
Dicono che la speranza sia l'ultima a morire, ma abbiamo tutti capito che è la prima.
Non basta sperare, dobbiamo crederci, dobbiamo impegnarci, fare tutto il possibile per uscire da questa situazione.
È il mio desiderio più grande, nonno. E so che è anche il tuo.
So che sei preoccupato, lo capisco. Ma la verità che non dico a nessuno e che voglio rivelare a te soltanto è che non so se andrà davvero tutto bene, non ne ho la certezza.
È una consapevolezza che fa male, l'ignoto mi spaventa più di ogni altra cosa, non so cosa succederà domani, quali saranno gli ostacoli da superare, le notizie da affrontare, le statistiche da accettare con un groppo in gola.
Un anno fa, a inizio pandemia eravamo tutti così confusi, per noi italiani era ancora il "virus cinese", ma poi c'è stato il primo paziente zero e da quel momento nulla è stato più lo stesso.
Il cambiamento più radicale nella mia vita è stata la didattica a distanza, e ho capito che l'allontanamento dalla scuola, a lungo andare, può spaventare.
Oggi, a distanza di un anno, c'è più organizzazione, siamo più vicini al concetto di scuola di quanto lo eravamo all'inizio, ma tutto si svolge dietro uno schermo, senza interagire realmente.
E tu, nonno, più di chiunque altro puoi ben capire quanto sia brutto e difficile esserci ma non esserci davvero.
Hanno chiuso ogni cosa per un po': negozi, palestre, cinema, piscine, scuole. Tutto ciò che prima apparteneva alle nostre vite è scomparso all'improvviso, gettandoci in un baratro di monotonia e terrore dal quale non tutti sono riusciti a fuoriuscire indenni.
Le zone rosse e arancioni sono state il peggio per molti, è straziante essere barricati nella propria casa come dei detenuti innocenti nelle celle.
Ma non mi arrendo, nonno.
Non vedo l'ora che questa situazione finisca, vivo per assistere al momento in cui verrà annunciata la fine del Coronavirus, il momento in cui si potrà tornare a passeggiare per strada senza stringere tra le mani un pezzo di carta che giustifichi ogni nostro passo, quello in cui ci libereremo dal peso fastidioso delle mascherine e i nostri sorrisi saranno liberi di illuminare il volto, quello in cui potremo tornare ad abbracciarci e baciarci, senza temere il male, la malattia, la sofferenza e la morte.
E quando arriverà quel momento, sarai il primo con cui condividerò la gioia di essere liberi, il sollievo, la felicità, la spensieratezza.
Tieniti pronto, nonno.
Quel momento arriverà, e sarà il momento più bello di tutti.
Per ora ti lascio, ma torno presto, promesso.
So già che tu non andrai da nessuna parte, che il tuo sguardo non mi lascerà neppure per un secondo, dopotutto hai vegliato su di noi per tutto questo tempo.
Grazie nonno, spero che la mia lettera possa arrivare lassù.
Ti amo infinitamente.
Con affetto, la tua nipotina.
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Fragmenta - Oltre Me
Short StoryPoesie, racconti, pensieri. Piccoli frammenti sparsi di esistenza. Quando scrivo mi ritrovo. Questa raccolta è il mio testamento poetico. Un giorno morirò, ma quello che scrivo resterà oltre me. È un lascito immateriale che accoglie i miei ricordi...