Nuvola bianca

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In cielo non c'è nemmeno una nuvola, oggi.

È tutto limpido, terso, immacolato. Il blu intenso è avvolgente e il sole è così caldo che, volgendogli il viso, mi sembra di essere accarezzato dal fuoco. Sono sdraiato sull'erba, vorrei poter dire che sia un campo infinito e che profumi di papaveri, ma la verità è che la terra è sempre stata meno pulita del cielo.

Il mondo è sporco, lo so bene.

E, se ti scrivo, è perché lo sai bene anche tu.

Se fossi accanto a me in un giorno nuvoloso penseremmo di volgere il nostro sguardo sopra di noi, dando una forma ai disegni biancastri che macchiano il cielo. Mi sfioreresti la spalla e, senza dire una parola, alzeresti l'indice.

Quella, non ti sembra che sia...?
Sì, è proprio così.
E io te ne indicherei un'altra.
E quella? È proprio un...
Sì, lo è.
Il tempo scorrerebbe e solo così smetterebbe di pesare così profondamente nella mia mente vorticosa. È questo quello che avremmo fatto, ne sono certo.

Ma oggi, amico mio, il cielo è rimasto solo, spoglio, immenso e senza macchie. Allora mi sono addormentato, nel mio sogno ho aperto il mio petto e dentro ci ho trovato un pezzo di cielo. Ti saresti spaventato, o forse ti saresti divertito, perché se solo avessi potuto vederlo anche tu, se ti avessi permesso di addormentarti e sognare con me, avresti indicato le chiazze scure, nuvoloni pronti a scatenare l'inferno. Avresti dato una forma anche a quelli, ma io non avrei avuto la serenità di acconsentire, di annuire, di cercare ancora. Così nel mio sogno ho scelto di restare solo. E questo cielo adesso mi fa sorridere di amarezza, pare proprio che a furia di indicarle abbiano deciso di strisciare in me e rendere il mio pezzo di cielo sempre sporco, sempre nero, freddo, buio. Come la terra su cui poggio le spalle, come gli abissi del mare nei quali ho lasciato scivolare la mia testa pesante, la terra dalla quale fuggivamo nei giorni più grigi, quando la tempesta non scendeva dal cielo, ma veniva dal mondo.

Perdonami.

Perdonami, perché non basta più indicare il cielo sopra la testa, quando il marcio è sotto la pelle, quando il rumore della pioggia è solo un eco in confronto alle lacrime che i miei occhi sono incapaci di versare. Il mio cuore non conosce nulla di diverso, è diventato una pezza gonfia di liquido e ha perso la sua forma, il suo calore, la sua funzione. È diventato viscido, irriconoscibile, malato. Ed è questa malattia che alla fine ha rubato le nuvole dal cielo e me le ha messe nella gola, soffocandomi.

Perdonami, se non le cerco più.
Oggi è l'ultimo giorno, alzo il braccio pigramente, ma esso mi ricade sul volto asciutto. Mi riparo dal sole, ma non posso ripararmi da nient'altro.

Perdonami se sono egoista, ho dato un bacio a una lapide di pietra, ho annaffiato i fiori, ho accarezzato con la suola delle scarpe la strada che mi portava da te e infine ti ho lasciato questa lettera, un'unica richiesta scarabocchiata sul retro.
Leggimi sopra al prato, sotto al cielo, ti ho detto.

Spero che tu lo abbia fatto.

E se hai letto fino a qui, alza lo sguardo, indica verso l'alto, cercami da qualche parte e chiedimi ancora una volta se quella nuvola ti sembra che sia...

Sì, è proprio così.

Qui giace un cuore malato che rincorreva le nuvole.
Adesso è una nuvola bianca in un cielo pulito.

Fragmenta - Oltre MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora