Naruto Uzumaki - Naruto

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Avevano paura di me.

Credevano che ci fosse un mostro nascosto sotto gli strati di pelle, ma l'unica belva che mi divorava l'anima era la solitudine.

Dondolavo su un'altalena arrugginita, il capo poggiato sulla corda sgualcita, gli occhi tristi, il cuore ricolmo di risentimento. Gli altri bambini ridevano, scherzavano, si divertivano, si tenevano per mano, stretti tra le braccia di madri premurose e padri orgogliosi.

Un refolo di vento mi scompigliava i capelli mentre agitavo il piede che faceva oscillare la corda. Barcollavo da un lato all'altro, senza mai schiantarmi, seppur fosse doloroso ugualmente. Il corpo era pesante proprio come se le ossa fossero frantumate, e anche se i miei piedi non toccavano il suolo, il mio umore rasentava la terra.

Perchè io no?
Perchè tutti sì e io no?
I miei genitori erano morti.
Dicevano che li aveva uccisi il mostro.
Il mostro che era dentro me.
Per questo avevano paura.
Credevano che io fossi un assassino.
Credevano che io fossi il male che distruggeva ogni cosa.
Ma io ero solo un bambino.
Un bambino solo.
Odiato, allontanato, maledetto.
Distoglievano i loro sguardi, stringevano le spalle dei loro cari, indietreggiavano furtivi, non mi rivolgevano parola.
Un reietto invisibile pieno di quel dolore da scoppiargli il cuore. E ogni giorno cresceva, cresceva, incancreniva gli organi come il fumo di un sigaro, irrigidiva gli arti, avvelenava il sangue.

Il dolore diventava rabbia.
E la rabbia sì, quella sì che era un mostro che distruggeva tutto.
Così per proteggere me, devastavo tutto il resto. Combinavo ogni tipo di guaio. Rubavo, scappavo, urlavo e ridevo, ridevo tanto. Ridevo in faccia a chi mi avrebbe voluto morto, a chi avrebbe preferito che non nascessi mai, a chi credeva che non sarei mai diventato qualcuno, che non avrei mai realizzato i miei sciocchi sogni.

A scuola ero una vera frana, mi prendevano tutti in giro, ma a me non importava nulla. Tentavo, ritentavo, e poi fuggivo facendo la pernacchia ai maestri. Li facevo impazzire.
Tutti tranne uno.
Forse il mio unico amico.
Forse l'unica persona che mi volesse bene, che credesse in me.
Lo deludevo tanto, ma lui mi conosceva, sapeva quanto in realtà fossimo simili.
Ogni sera mi invitava a mangiare il ramen, il mio piatto preferito, e seduti fianco a fianco mi sfregava fastidiosamente la mano calda sulla testa, a mo di rimprovero. Era il gesto d'amore più bello che avessi mai ricevuto.

Al ritorno, la casa era vuota, nessuno da salutare, nessuno che si prendesse cura di me.
Ero abituato, ero cresciuto da solo. Anche se fallivo in tante cose e nessuno aveva motivo di credere in me, io lo facevo ugualmente. Sapevo di essere forte, perchè sapevo cosa significasse vivere la mia vita, andare avanti giorno dopo giorno senza nessuno.

Cercavo di attirare l'attenzione su di me con quell'egocentrismo che negli anni avevo dimostrato, lo facevo perchè odio e grida erano pur sempre meglio di quel disprezzo sottile, muto, omertoso. Preferivo essere cacciato da tutti a gran rumore, che ignorato in silenzio, preferivo rendere indimenticabile il mio nome maledetto da tutti, che essere dimenticato ai margini delle strade come un condannato reo di assassinio.

Negli anni ero cresciuto, ma non ero cambiato. Le cose, invece, man mano si erano stravolte. Di quell'infanzia rubata avevo ricordi indelebili, ma essi non avevano scalfito la mia esuberanza, la mia vivacità, la mia ambizione e testardaggine. In passato i miei compagni di classe mi ritenevano inutile, stupido, strano, rompiscatole, debole. Poi mi hanno conosciuto, hanno visto il mio cuore, la mia forza e anche loro hanno iniziato a credere in me.

Oggi ho degli amici, degli amici veri. Non quelli con cui si va sempre d'accordo e con cui si ha in comune tante cose, no, parlo di quelli che anche nei momenti peggiori sarebbero disposti a morire per proteggerti, a lottare con i denti e con il sangue, quelli che non ti lasciano indietro, che non ti mollano, neppure se è l'unica cosa che desidereresti fare. Quelli che sanno tutto di te, che sono soliti prenderti in giro perchè sanno di poter ridere con te, sanno che tutto ciò di cui hai bisogno è proprio la consapevolezza di non essere solo, mai più. Quelli che ti aiutano a realizzare i tuoi sogni, per quanto essi siano assurdi e irraggiungibili.

Mi chiamo Naruto Uzumaki e credo in me, nel cuore mio.

Ho sempre detto a tutti, fin da subito, che un giorno sarei diventato Hokage, ricevendo indietro solo risate e insulti.

Invece quel giorno è arrivato.

Quel giorno è oggi.

N.B.
Il racconto è ispirato alle vicissitudini del protagonista di un anime, Naruto.

Dodici anni prima dell'inizio della serie, la Volpe a Nove Code ha attaccato il Villaggio della Foglia, distruggendo gran parte di esso e causando molte morti. Il capovillaggio, il Quarto Hokage, sacrificò la sua vita insieme alla moglie Kushina Uzumaki per sigillare quest'ultimo nel loro figlio appena nato, Naruto Uzumaki. Anni dopo la devastazione, Naruto oramai orfano crebbe venendo evitato dagli abitanti del villaggio, che per paura e rabbia pensavano che li avrebbe attaccati, vedendolo così come la stessa Volpe a Nove Code. I bambini, prendendo spunto dai loro genitori, hanno ereditato lo stesso astio verso Naruto. Nella sua sete di essere riconosciuto, Naruto giurò che un giorno sarebbe diventato il più grande Hokage che il villaggio avesse mai visto.

Fragmenta - Oltre MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora