Capitolo 12

27 2 0
                                    

Isabela Gonzales

23 Marzo 1987

Le urla si fecero sempre più forti. L'uomo e la donna che erano chiusi in una stanza al piano di sopra litigavano e gridavano con quanto fiato avevano in corpo.

Lui era Juan Carlos De la Riva, spacciatore e ladro di professione. Lei Maria Adelina, semplicemente Maria per quei pochi amici che le restavano.

La ragazza nascosta in un angolo al pian terreno invece ero io. Isabela Gonzales.

Le urla si intensificarono fino ad diventare insopportabili, poi un forte tonfo, ed infine il silenzio.

Le nostre notti a Tijuana in Messico erano sempre state piuttosto tranquille fin quando nella nostra vita non era arrivato lui, Juan Carlos, mia madre lo aveva accolto a braccia aperte. "Sono ufficialmente finiti tutti i nostri problemi" diceva convinta i primi mesi della loro relazione, poi piano piano aveva iniziato a rendersi conto che non è tutto oro quello che luccica e che molto spesso la fortezza indistruttibile che credi di aver creato, finisce per rivelarsi un banale castello di carte.

Lui aveva iniziato ad ubriacarsi ogni sera insieme ai suoi amici nel cortile di casa e a tradirla ogni giorno con una donna diversa senza alcun ritegno. La povera Maria, da moglie amata aveva finito per trasformarsi in domestica non retribuita. Aveva provato a lasciarlo più volte ma tutti i tentativi si erano conclusi in malo modo, un braccio rotto, due fratture alle costole, una caviglia slogata e vari ricoveri in ospedale.

Fu per questo motivo che il 23 Marzo mia madre decise di fuggire o almeno ci provò. Juan Carlos erano un animale, un rude, un arrogante ma non era assolutamente uno stupido. Aveva fiutato il nostro piano per giorni ma fece finta di nulla per tutto il tempo. Fu solo quella notte che si palesò.

Mi alzai lentamente dall'angolo in cui mi ero rifugiata come una bambina indifesa. Il silenzio era assordante, non ne ero abituata. Presi coraggio, tirai un respiro profondo e appoggiai il piede sul primo gradino, feci come se volessi salire le scale quando ad un certo punto la porta della stanza al piano di sopra si spalancò sbattendo ferocemente contro il muro. Maria scese velocemente le scale mi afferrò per il braccio e mi spinse fuori la porta di casa.

<<Vete! Escàpate y nunca regreses!>> Mi disse.

E così feci! Me ne andai, scappai e non tornai mai più. Non ebbi il tempo di obiettare ne di chiedere spiegazioni che Maria chiuse la porta, lasciandomi all'esterno dell'abitazione.

Non capirò mai perché molti uomini scelgano di comportarsi come bestie, maltrattando ciò che di più prezioso hanno, ciò che dovrebbero custodire e tutelare come bene più prezioso. Non capirò mai perché alcune donne come Maria, non trovino il coraggio di scappare, denunciare ma scelgano di soffrire in silenzio.

Una ricerca su Google mostra Tijuana al primo posto tra le città più pericolose al mondo. La zona con il più alto numero di omicidi e violenza. Io, una ragazza di appena 18 anni, mi ritrovai a correre e scappare tra le strade di quella citta con i soli vestiti che avevo addosso e un bigliettino che mia madre mi aveva lasciato nel palmo della mano prima di dirmi addio. Fu solo quando mi assicurai di essere abbastanza lontana che smisi di correre, mi accucciolai, poggiai i gomiti sulle ginocchia e ripresi lentamente fiato. Appena sentii i battiti del cuore rallentare ad un ritmo regolare e le ginocchia smettere di tremare, aprii quel foglio di carta. Vi era riportato un numero di telefono sconosciuto ed un breve messaggio di Maria.

Cerca Ted Sintort, lui ti aiuterà! 

GIOCO DI UN INGANNODove le storie prendono vita. Scoprilo ora