Capitolo 18 PARTE A

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Gregory Sintort

30 Aprile 1987

Da bambino io e mia madre passeggiavamo spesso sulle rive del lago. Percorrevamo chilometri immersi in quell'oasi naturale di pace. Le ho sempre voluto bene, il mio desiderio più grande era vederla serena. Insomma, quello che rendeva felice lei, rendeva felice me. Ammiravo la sua forza e determinazione, il coraggio con cui giorno dopo giorno si prendeva cura di me e di quell'uomo che, secondo la legge, era mio padre.

Ricordo bene le prime volte in cui l'ho vista piangere, avrò avuto all'incirca dieci anni. Tornavo da scuola, la osservavo in cucina mentre lavava i piatti e nel frattempo continuava ad asciugarsi le lacrime. All'ora ero troppo piccolo per capire, per comprendere che spesso il male più grande è nascosto nella tua stessa casa. Solo crescendo ho aperto gli occhi alla realtà.

Quella sera del 30 Aprile 1987, a Fort Mill, l'estate sembrava già essere arrivata, stranamente in anticipo rispetto al solito. Il caldo era insopportabile, specialmente per me che ho sempre amato le temperature autunnali. Per questo motivo reputai strano che le finestre e i balconi di casa fossero chiusi, ben serrati. Non era la prima volta che davanti ai miei occhi si palesava una scena del genere. Ted Sintort chiudeva sempre gli infissi di casa prima di picchiare e sbraitare contro mia madre, lo faceva per evitare che i vicini ascoltassero le loro grida, le urla e i pianti disperati di quella povera donna.

Lasciai cadere il borsone da palestra sul marciapiedi e mi precipitai dentro casa. Erano le 8:00 di sera quando la vidi accovacciata sul pavimento, in un angolo del soggiorno, con i vestiti e il viso sporco di sangue e lo sguardo ormai assente, consumato dal dolore.

Agì di impulso, come probabilmente chiunque altro avrebbe fatto. Afferrai un coltello affilato in cucina, presi la bicicletta deposta in garage e corsi verso la stazione di servizio. Gliel'avrei finalmente fatta pagare.

Sentivo il cuore battere forte in gola e il sangue arrivare fino al cervello, la vista era offuscata dalla rabbia così come anche i miei pensieri. Sid Francis mi vide arrivare in lontananza, mi osservò mentre lasciavo cadere per terra la bici e mi precipitavo verso le scale del seminterrato. Fu solo mentre calpestavo l'ultimo gradino che mi bloccò afferrandomi per la maglia già sudata e mi spintonò verso il muro.

<<Che intenzioni hai ragazzino?>>

<<Lasciami andare Sid, ho bisogno di vedere Ted.>>

<<Non è qui in questo momento e aggiungerei anche per "tua fortuna">> La sua mano mi teneva ancora bloccato contro il muro quando si accorse del coltello. <<Ma guarda un po' cosa abbiamo qui! Sei venuto con intenzioni serie a quanto pare.>>

<< Non è a te che voglio fare del male Sid, lasciami andare>> la mia voce era strozzata.

Lui rise. <<Davvero pensavi di poter uccidere tuo padre con quello? E proprio qui a casa sua? Qui sotto ci sono abbastanza uomini che si avventerebbero su di te non permettendoti di fare neanche un passo>>

Non risposi, recuperai lucidità e Sid se ne accorse. <<Vieni ti offro una birra>>

Le mani ancora mi tremavano quando afferrai un calice di Helles tra le dita e mi sedetti al bancone del club nel seminterrato accanto a Sid.

<<Mi sarai debitore a vita ragazzo>> esclamò senza troppi giri di parole. Probabilmente sul mio viso apparve un punto interrogativo perché subito continuò, <<questa sera ti ho salvato dal diventare come tuo padre o come chiunque in questo buco nascosto>>

<<Io non diventerò mai come mio padre>> Il solo pensiero mi disgustava, pronunciai quelle parole senza nemmeno guardarlo in faccia.

<<Si fa presto a dirlo, lascia passare qualche anno e vedrai. Il sangue non mente.>>

<<Ricordati che ho ancora il coltello in tasca>>

Lui sorrise e io capì di essermi appena fregato da solo.

Bevvi un sorso di birra velocemente e mi persi per un attimo trai miei pensieri. <<Perché sei qui Sid? Non pensi mai di fuggire via?>>

<<E che altre possibilità avrei?>>

<<Potresti ricominciare da capo. Trovarti un lavoro serio, onesto. Costruire una famiglia da amare.>>

<<Non sono esattamente il tipo che ama i centrini ricamati, i biscotti appena sfornati e le domeniche mattina in chiesa>>

<<Non stavo dicendo questo. . .>>

<<So cosa stavi dicendo ragazzo.>> Mi interruppe prima che potessi continuare, <<Per me è tardi ormai. Questo è il mio destino. E se ti guardi intorno, capirai che forse non sono poi cosi sfortunato>>

<<Cosa intendi?>>

Lui esitò qualche secondo. <<La maggioranza delle persone che si trovano qui adesso è prigioniera della propria stessa vita, sono schiavi del sistema e della reputazione che per un intera vita hanno cercato di custodire come un fragile cristallo. Io invece sono libero da ogni vincolo o regola.>>

<<Tu sei schiavo di Ted Sintort! Non sei affatto libero.>>

Sid mi fissò per alcuni istanti mentre beveva l'ultimo sorso di birra dal suo calice e si alzava dallo sgabello su cui era seduto. <<Io non sono schiavo di nessuno, tienilo bene in mente!>> Poi, andò via.

Indugiai qualche secondo in più sulla mia seduta con i gomiti appoggiati sul bancone. Mi soffermai per qualche istante sui visi di quelle persone che Sid definiva oppresse dal sistema e fu esattamente in quel momento che la vidi per la prima volta. 

GIOCO DI UN INGANNODove le storie prendono vita. Scoprilo ora