Capitolo 33

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Sarah

1 Luglio 2010

<<Peter?>>

Rispose sbadigliando. <<Sarah? Sei proprio tu?>>

<<Ho bisogno del tuo aiuto Peter>>

<<Di cosa si tratta?>>

<<Ho urgente bisogno di parlare con Felix Burer>>

<<Va bene. Domani mattina parlerò con il direttore e vedrò quello che posso fare.>>

<<Forse non sono stata abbastanza chiara: ho bisogno di parlare con Burer adesso!>>

<<Adesso?>> Scoppiò in una forte risata.

<<Si adesso! So che forse è difficile ma non ti avrei chiamato se non fosse così urgente>>

<<Difficile? E' impossibile!>>

<<Dai Sullivan non farti pregare.>>

Rimase in attesa per alcuni istanti. <<Quanto urgente?>>

<<Abbastanza da scomodarti a 20 minuti dalla mezzanotte. Qualcuno sta rischiando la vita Pet.>>

Lui sbuffò

<<Mentre noi parliamo potrebbe già essere troppo tardi!>>

<<Cosa vuoi che faccia?>>

<<Riesci ad organizzarmi un colloquio telefonico con Burer?>>

<<Ci provo Sarah>>

<<No Peter! Non devi solo provarci, devi riuscirci!>>

Circa venti minuti dopo Sullivan mi richiamò

<<Sarah?>>

<<Allora?>>

<<Mi devi una cena!>>

Tirai un sospiro di sollievo.

<<Anche una vacanza alle Maldive se sarà necessario>>

<<Burer ha posto solo una condizione!>>

"Che diamine" pensai. "Ci risiamo!" <<Di che si tratta?>>

<<Vuole parlare solo con te. Con te e nessun'altra, nemmeno Hanna.>>

<<Questo non sarà un problema.>>

Imboccai la route 66 che costeggiava il bosco, mi fermai con l'auto nell'esatto punto in cui Mike, Solomon e Ted Sintort avevano posto fine alla loro esistenza. Tre personalità così distinte unite da un solo destino crudele. Non spensi il motore, chiusi gli occhi e mi sembrò di essere lì quella notte. Raggiunsi Villa Asteir trenta minuti dopo. In preda ad attacchi di panico aprii il cruscotto in cerca del valium, presi una capsula e la mandai giù a sforzo senza acqua, feci lo stesso con la seconda. Ancora con le pasticche ferme in gola, poggiai il capo sul poggiatesta del sedile. Chiusi gli occhi e inspirai profondamente per circa una decina di volte così come avevo visto fare al corso di yoga che avevo frequentato, si e no, un paio di volte. Afferrai la pistola dallo scomparto dello sportello e mi assicurai fosse carica.

In casa regnava il silenzio. La porta di ingresso era aperta e la maggior parte delle luci spente. Quella villa avrebbe potuto perfettamente prestarsi come set di un horror movie. Mi domandai dove trovasse Hanna il coraggio per dormire tutta sola in un posto come quello. Ogni oggetto in quella casa pareva possedere vita propria, a ogni passo le pareti mi scrutavano e i quadri mi aggredivano.

GIOCO DI UN INGANNODove le storie prendono vita. Scoprilo ora