Hanna
1 Luglio 2010
Le ore successive trascorsero a rallentatore, come una serie di minuti interminabili. Ero seduta in salotto con le chiavi dell'auto poggiate sul tavolino al mio fianco. Se fossi partita entro qualche minuto avrei evitato il nauseante traffico delle strade di New York. La borsa era già pronta con tutto il necessario per fuggire via da Fort Mill e non mettervi mai più piede. Sarei tornata nella Grande Mela solo per qualche giorno, giusto il tempo necessario per sistemare alcune faccende amministrative, per poi volare via lontano. Lì dove il suono delle onde del mare sarebbe stato più forte del frastuono dei miei pensieri.
La testa doleva ancora un po' a motivo della tempesta di sensazioni che mi avevano colpito nell'ultimo periodo. Non provavo nessun entusiasmo per la vita o per il futuro. Accarezzai delicatamente la seduta del divano al mio fianco e una lacrima rigò il mio volto, "se solo potessi essere qui papà!" pensai. "chissà cosa penseresti di me? saresti orgogliosa delle mie scelte? dei miei traguardi? di come sto lottando per i miei obiettivi?"
Mi guardai intorno. Nonostante quella dimora fosse chiusa e inabitata da anni, conservava ancora il fascino della sua bellezza. Susan Asteir amava quel posto, forse più di qualsiasi altra cosa al mondo; per questo inizialmente non compresi la sua decisone di ritornare in Inghilterra, il paese d'origine dei suoi antenati: nobili di titolo ma non d'animo.
<<Non sono fatto per questo sistema>> mi aveva detto un giorno Solomon alla vista di quel lusso. <<Ti stai perdendo il meglio Hanna>> aveva aggiunto.
<<Cosa intendi?>>
<<Non so spiegartelo di preciso. Eppure sento che nella tua vita manchi qualcosa. Credo che tu finga di essere davvero felice>>
Aveva colto nel segno. Era saggio il caro Sol. <<Ma io sono felice!>> borbottai.
<<Quelli come te non potranno mai esserlo davvero. Pensa per un attimo a chi come te è cresciuto in prigioni d'orate. Non sapranno mai cosa si prova nel correre liberi per strada, giocare nei campi e tornare a casa sporchi di terra e sudore. Non conosceranno la soddisfazione e l'entusiasmo che si prova nell'aiutare il proprio padre a lavare l'auto o ad aggiustare il motore. Avranno sempre tutto dalla vita con troppa facilità e alla fine non riusciranno ad apprezzare il vero valore delle cose. Pretenderanno sempre di più e quando alla fine si renderanno conto di aver raggiunto il limite precipiteranno nel baratro della frustrazione. Solo allora si renderanno conto di aver perso una delle cose più importanti nella vita, esattamente come è accaduto a tua madre>>
<<Cioè?>>
<<Avranno perso il loro tempo. Il tempo per imparare, per crescere e per amare. Per godere della bellezza della vita. Per quanto tu sia ricco non esiste denaro al mondo capace di restituirlo indietro. Sarà semplicemente troppo tardi. Non siamo fatti per pretendere ma per essere grati della semplicità. Per questo motivo, anche se la mia vita dovesse finire in questo istante, avrei la certezza di aver vissuto appieno. Non avrei quasi nessun rimpianto, eccetto. .>>
Si paralizzò.
<<Eccetto?>> incalzai
Fu in quel istante che lo fece, Solomon mi baciò. Con una delicatezza e un rispetto alla quale non ero abituata <<..eccetto non averlo fatto prima!>> Poi scappò via.
Sol era un ragazzo di altri tempi, cresciuto in un epoca sbagliata che non aveva saputo dare il giusto valore ai suoi sani principi. Era uno sfortunato gentiluomo che amava abbracciare ed elargire saggi consigli, uno sfortunato gentiluomo che doveva ancora trovare il suo spazio nel mondo. Sono convinta che se ne avesse avuto l'opportunità nella vita avrebbe ottenuto grandi cose.
Non parlammo mai più di quell'accaduto. Non avemmo il tempo di poterlo fare né tantomeno Mike lo venne mai a sapere.
Scossi violentemente la testa come a voler scacciare via quei ricordi. Annusai il profumo di caffè sprigionarsi dalla cucina, smisi di sorseggiarlo quando il rumore di una finestra spalancarsi mi fece sussultare.
In preda al panico afferrai l'attizzatoio del camino. Impiegai qualche istante per capire cosa fare. Cercai il telefono nella tasca dei Jeans ma non era li, probabilmente lo avevo dimenticato in salotto. Mossi passi lenti ma decisi verso l'ingresso. Il silenzio della notte divenne ruggente e spaventoso. Non ero più sola in quella casa enorme, ne ero certa.
<<Io e te dobbiamo parlare!>> Una voce mi sussurrò nell'orecchio mentre con il braccio mi stringeva il collo e con la mano mi tappava la bocca. Lasciai cadere l'attizzatoio al suolo per lo spavento.
Riconobbi quella voce.
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GIOCO DI UN INGANNO
Mystery / Thriller"Riesci a distinguere il confine sottile tra inganno e realtà?" Dopo circa 20 anni, la criminologa Anna torna nella sua città natale di Fort Mill per risolvere un caso che la tormenta da tempo. Quando era adolescente, Anna era stata testimone di un...