33. Perché?

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Casa di Casper divenne silenziosa solo quando Masao si chiuse la porta alle spalle.

Avevo passato il pomeriggio ad interrogare ogni singolo Coyote ottenendo poco o niente, mentre Casper era stato impegnato a nascondersi in cucina ad impastare qualcosa insieme a mia madre. Quei due avevano bisbigliato in sottofondo ad ogni mio interrogatorio.

Quello che ero riuscito a scoprire era semplice: ognuno dei Coyote avrebbe potuto prendere la pistola, tutti giuravano di non averlo fatto, e nessuno aveva un alibi che non fosse confermato solo da un altro Coyote.

Dovevo ricominciare da capo. Da quella lettera. Era iniziato tutto da quella dannata lettera.

"Ben."

Alzai la testa e il mio collo si lamentò per la posizione in cui l'avevo costretto per chissà quanto tempo. Fuori era buio ormai. Sul divano ero rimasto solo io; erano andati tutti via.

Mia madre mi sorrise. "Io sto andando a casa. Tu... vuoi venire? O preferisci restare?"

Casper stava fissando il forno acceso con dentro qualcosa che non riuscivo a distinguere.

"Scusa, preferisco restare."

Mia madre accettò la mia risposta senza esitare. Ci salutammo e lei sparì subito dopo.

Carli riapparve non appena la porta si chiuse. Aveva la capacità sovrumana di capire quando mia madre non era nei paraggi.

Ci avvicinammo entrambi alla cucina. Vedere Casper illuminato dalle luci del forno mi dava una terribile sensazione. Sembravano quasi fiamme sul suo viso.

"Se le cose dovessero andare male," Cas parlò senza sollevare la testa, "andrai a stare da Natalie."

Carli spalancò gli occhi. Era ovvio che non l'avrebbe presa bene, ma quella patina lucida che le annebbiò le iridi mi lasciò comunque senza fiato.

La bambina non ci lasciò vedere le lacrime che montavano. Ci diede le spalle e corse via. La porta della sua stanza sbatté su quell'ingiustizia.

Casper tornò a fissare l'interno del forno.

"Ehi. Andiamo, Cas, riprenditi. Questo non sei tu."

Lui appoggiò la fronte sullo sportello e strizzò gli occhi.

"Cas..." Consolare non era mai stato il mio forte. Non ero una persona gentile o delicata, ed ero sempre stato sicuro che Casper non avesse bisogno né dell'una né dell'altra cosa.

Ma vedevo qualcosa di diverso in lui in quel momento. Una fragilità che non si era mai palesata.

E se lui poteva presentarsi a scuola e decidere di ribaltare la sua vita, io forse potevo accarezzargli una guancia fino a che non avesse aperto gli occhi e non avesse sollevato la testa.

Un piccolo sorriso spezzò l'immobilità del suo sguardo.

"Tutte le attenzioni che mi hai mostrato a scuola... me le merito ancora, dopo essere stato arrestato?"

"Non è stata colpa tua."

Lui scosse la testa e prese la mia mano nella sua per allontanarla dal suo viso. "Avrei potuto fermarmi prima. Come volevi tu, come volevano Cole e Nathan e Masao. Ma persino adesso non riesco ad immaginare me stesso a compiere scelte diverse. Ogni decisione che ho preso mi sembrava e mi sembra ancora l'unica possibile. Ed è andato tutto comunque in rovina. Quindi forse sarebbe stato questo il capolinea in ogni caso. Sono sempre stato condannato."

"Ti stai autocommiserando. Piangersi addosso non risolverà niente." Liberai la mia mano e lo presi saldamente per un braccio. Iniziai a tirarlo lontano da quel forno luminoso, giù lungo il corridoio. "Hai fatto tante cazzate, questo non lo nega nessuno. Ma hai diciannove anni, la tua vita non è finita, e io non lascerò che tu finisca in prigione per un crimine che non hai commesso. Mi hai capito bene?"

Coyote e OssicinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora