4. Il ricovero

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Quando, a dieci anni, fui ricoverato nel reparto Grandi Ustionati dell'ospedale pediatrico di Norgree, all'inizio ero da solo.

Franklin Durgo era stato tanto simpatico da chiudere la porta del cortile della scuola con il catenaccio, lasciandomi fuori in quel quadrato di cemento.

Era l'ultima settimana della quinta elementare. Il caldo era stato insopportabile anche dentro, ma non appena ero uscito sotto al sole mi ero sentito bruciare come bacon sull'olio bollente.

Ma le maestre avevano insistito che rimanessi fuori a giocare con gli altri.

A giocare.

Ma per favore.

Io non giocavo con quegli sfigati. Erano un branco di deficienti.

Così me ne rimasi a farmi i fatti miei in disparte, fino a che non sentii la voce di Franklin che gridava: "Ossicino è qui con me! Ci siamo tutti!" Poi la porta che sbatteva e il rumore di catene.

Il sole era perfettamente verticale, l'unica ombra in tutto il cortile era la macchia tonda che circondava i miei piedi.

All'inizio non mi feci prendere dal panico, avevo messo la crema solare da poco, e qualcuno si sarebbe accorto che mancavo.

Ed era vero, eventualmente, dopo svariate ore, qualcuno se ne accorse.

Quando vennero a cercarmi mi trovarono raggomitolato a terra, con le gambe raccolte sotto al petto, e il viso nascosto contro del pavimento. Il calore del cemento era meno intenso di quello del sole. Avevo usato le braccia per cercare di nascondere ulteriormente la testa. 

Il retro del mio collo, dove non ero protetto dalla maglietta, aveva cominciato a bruciare per primo. Il dolore era cresciuto gradualmente, lentamente.

Si era esteso dal collo alle braccia, poi alle mani.

Quando mi trovarono ormai avevo perso i sensi.

...

Mia madre prese velocemente il controllo della mia stanza d'ospedale, abbassando le tapparelle alle finestre e spegnendo tutte le luci.

Era leggermente isterica, passava dal coccolarmi e viziarmi come un povero invalido, a minacciare di denunciare tutte le maestre, e la preside, e pure i genitori di quel ragazzino che mi aveva chiuso fuori.

Al di là del fastidio delle bende e di essere mezzo rincoglionito dagli antidolorifici, non me la passavo tanto male. Ustioni di secondo grado sul 15% del corpo, sparse per braccia, collo, caviglie.

Trascorsi un paio di giorni a mangiare gelato e guardare i cartoni animati sul mio tablet. Attorno al mio letto era tutto pieno di palloncini e peluche. 

"E sai cos'altro mi aiuterebbe a sentirmi meglio?" Piagnucolai con la vocetta più acuta che avevo.

Mia madre era seduta sulla poltrona in cui aveva dormito la notte precedente, che ascoltava la mia ennesima richiesta con un orecchio solo.

"Una nuova tv per la mia camera."

"Non starai esagerando, Ben?" Lo disse con un tono che voleva quasi essere severo.

Come no. Avrei trovato la mia tv imballata in salotto.

"E sai cos'altro..." Non sapevo neppure cosa potevo ancora chiedere, ma venni interrotto prima di trovare l'ispirazione. 

Nella stanza fecero irruzione tre persone che spingevano un letto. C'era qualcuno addormentato sopra: un bambino, o una bambina, non riuscivo a vedere bene.

Coyote e OssicinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora