Epilogo. Parte uno

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Nuova vita, nuovo me.

La mia immagine riflessa nello specchio era sfocata e fastidiosamente mossa, ma ero abbastanza certo che i miei capelli, bianchi come il gesso, avessero la forma giusta.

"Sei sicuro che non vuoi che io resti ancora un po'?"

Alzai gli occhi al cielo e uscii dal minuscolo bagno per ritornare nella mia nuova camera. Avevo immaginato che il dormitorio di un college di non primissima categoria non avrebbe avuto camere spaziose da offrire, ma la situazione qui era tragica.

Il mio lato della stanza aveva abbastanza posto da ospitare un letto, una scrivania larga quanto una timida baguette, e una cassettiera. Non c'era neppure un armadio degno di questo nome.

Quantomeno, visto che ero arrivato per primo, avevo potuto prenotare il lato della stanza con la finestra.

"Mamma, sono a posto, davvero. Ho tutte le mie cose, i libri, i vestiti, e non vedo l'ora di iniziare. Tu..." Come facevo a dirlo gentilmente? "Puoi andare."

Dall'occhiata che mi lanciò dall'altro lato della stanza giudicai di non essere stato abbastanza gentile, così le offrii un sorriso e le andai incontro per abbracciarla.

Era stata appiccicata a me tutta l'estate, come fossi un povero bimbo fragile sul punto di frantumarsi. E magari le prime settimane non erano state proprio facili, ma poi mi ero ripreso. Stavo bene. Anzi, stavo alla grande.

La mia vita stava ufficialmente per ricominciare.

"Davvero, mamma, sto bene. Sono un adulto. Non ho bisogno che tu mi tenga la manina."

"Ho fatto quasi sette ore di aereo per accompagnarti qui, potresti almeno..."

"E io ti avevo detto che non c'era alcun bisogno che mi accompagnassi."

Lei sospirò e mi strinse più forte. "Perché hai dovuto scegliere un posto così lontano?"

Appunto perché era lontano.

Una volta realizzato che avevo bruciato la mia occasione con la Brown, avevo scandagliato tutte le altre lettere di accettazione e avevo confermato quella più lontana.

L'università di New York aveva ottimi corsi di criminologia. Non si poteva dire che avesse i corsi migliori, ma aveva il vantaggio di trovarsi a quasi quattromila chilometri da Norgree.

"Ma tornerai per Natale, vero?" Chiese mia madre, con quella sua vocina dolce.

Annuii, ma senza promettere nulla.

Lei passò una mano tra i miei capelli con un gesto affettuoso. "Mettiti il cappello quando esci. E ricordati la crema."

Cominciai a spingerla con estrema delicatezza verso la porta, prima che iniziasse a ricordarmi anche di lavarmi i denti la mattina.

"E chiamami tutte le sere."

L'avrei chiamata qualche sera.

"Va bene, ti voglio bene, ti voglio bene, ciao!"

Tirai un sospiro di sollievo quando sentii i suoi passi allontanarsi lungo il corridoio.

C'era una bella energia nell'aria. Il brulicare dei nuovi studenti che trascinavano valigie e si davano pacche sulle spalle mi dava una strana sensazione di nostalgia, anche se non avevo mai sperimentato qualcosa di simile prima d'ora.

Richiusi la porta e mi trovai da solo. Non sarei rimasto tale a lungo, il mio nuovo compagno di stanza aveva solo un'altra ora di tempo per presentarsi.

Ero leggermente ansioso all'idea di incontrarlo, visto che avremmo dovuto condividere la stessa camera per l'anno a venire. Non ero l'unico ad avere certe preoccupazioni. L'università aveva fatto compilare un questionario di compatibilità ad ogni matricola, per poter formare delle accoppiate tollerabili.

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