Capitolo 4 - Papà

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C'era una casa, nascosta fra gli alberi. Era bellissima, una casa veramente da sogno. Tutta in pietra, era di tre piani. I balconi erano pieni di vasi, con gerani rossi, garofani e fiori di cui non ricordavo il nome.

Aprii la porta di legno di ebano, scuro e pesante. Un dolce profumo arrivò alle mie narici. Inspirai profondamente. Era il profumo della crostata di mele della mamma, la mia preferita, che preparava ogni mattina a colazione per me e per il papà, che la adoravamo.

"Vieni, my little Jess, vieni a far colazione!"
Solo mio padre mi chiamava così. Sorridendo, entrai di corsa nella sala da pranzo. Era lì, mio padre, in piedi vicino a mia madre. Lei era più giovane, lui proprio come lo ricordavo: alto e muscoloso, imponente; i capelli erano scuri e spettinati, un po' brizzolati; gli occhi verdi e luminosi saettavano da una parte all'altra.

"Quanto sei cresciuta, my little Jess, stai diventando proprio grande! Una signorina!" esclamò abbracciandomi stretto.
Buttandogli le braccia al collo, sentii il suo profumo, di menta, come quello di Thomas... Tom era là, dietro la porta, che mi sorrideva felice.

"Mmhh, vuoi andare dal tuo ragazzo, my little Jess? " mi domandò mio padre.
"Sì, papà, ma ora che ti ho ritrovato voglio stare con te, solo con te, per un po'... Mi sei mancato, sai?"
Rise. Aveva una bella risata, "calda", che sapeva di CASA.
"Stai continuando a scrivere, figliola?"
"Sì, papà"
"Brava ragazza, ti voglio bene"
"Grazie, papà"
Lui, sorridendo, mi porse una borsa di plastica. La guardai con gli occhi spalancati dallo stupore.
La aprii. Dentro c'era un libro con, nella prima pagina, la dedica di mio padre.

Lo faceva sempre. Ogni volta che dopo un viaggio tornava a casa, mi regalava un libro. E ognuno di essi aveva una dedica unica o una poesia scritta da lui stesso.

Segui i tuoi sogni, my little Jess, diventa QUALCUNO, non lasciarti sfuggire nessuna opportunità. Sii libera di fare le tue scelte. A me importa solo questo, niente sui problemi economici, niente sui guadagni possibili. I sogni sono qualcosa di incredibile e tu hai un talento innato: fa' quel che il cuore ti detta.
Ti voglio bene, my little Jess,
PAPÀ

Ecco che cosa c'era scritto sulla prima pagina del libro. Mio padre era un camionista. Era stato praticamente obbligato a fare quel lavoro, non aveva avuto scelta: era in una famiglia molto povera, non aveva potuto studiare molto ed era stato costretto ad accettare il primo lavoro che gli fu proposto. Così era diventato un camionista, nonostante sognasse di essere uno scrittore o un poeta, QUALCUNO, insomma. Era da lui che avevo ereditato le mie passioni per la scrittura e la lettura.

Sorrisi, al massimo della felicità, e gli scoccai un bacio sulla guancia, ruvida per la barba.
"Grazie" gli dissi all'orecchio.

Mia madre sorrise e disse: "Su, venite a mangiare, altrimenti la torta si raffredda! E, Jess, chiama il tuo ragazzo per venire a fare colazione con noi. Avrà fame anche lui!".

Vagai per la casa alla ricerca di Thomas. Lo trovai al secondo piano, in quello che pareva un vasto salotto. C'erano poltrone e divani ricoperti di cuscini dalla federa di velluto; pesanti drappi alle finestre; quadri di tutti i formati alle pareti; un pianoforte, un'arpa e un violoncello in un angolo.

Thomas era al pianoforte, vedevo le sue dite affusolate scivolare con dolcezza sui tasti. Ally era all'arpa, pizzicava morbidamente le corse tese dello strumento. Infine, Josh suonava il violoncello, muovendo a ritmo l'archetto. Ricky, Lucy e Ben erano distesi e seduti sui divani, chiacchierando e ascoltando il terzetto suonare.

Suonavano benissimo, da Dio. Io e la mamma sognavamo che potessimo suonare così, un giorno, tutti insieme. E finalmente ci eravamo riusciti! Pure con Tom!

Ero felice, al settimo cielo. Io che stavo con Thomas, lui che mi amava, il papà qua con noi, noi che sapevamo suonare e vivevamo in una casa da favola...

"Ehy Jess" sussurrò qualcuno. Mi voltai, ma non vidi nessuno. Qualcuno mi scrollò il braccio. Era strano, nella stanza c'ero solo io con i miei fratelli e Thomas. Nessuno, però, stava vicino a me e nessuno mi stava toccando.

"Jess"
Di nuovo quella voce così familiare.

"Jess, per piacere, svegliati, è tardi!"

Spalancai di scatto gli occhi e piano piano misi a fuoco quello che mi circondava. Ero in camera mia, coricata sul letto. Accanto a me c'era Ally, che sedeva sul bordo del materasso. Era già giorno e la luce entrava dalla finestra. Non si sentiva alcun profumo di crostata.

"Ally, dov'è papà?" le domandai "L'ho visto un attimo fa".
"Tesoro, era solo un sogno" mormorò lei, mordendosi il labbro inferiore.

Mi rizzai e mi misi seduta dritta.
"No" dissi con gli occhi pieni di terrore.
"Sì Jess" sussurrò Helen, con gli occhi lucidi "Papà non c'è, lui è morto. Ti ho svegliato, perché è tardi e poi stavi parlando nel sonno, sembrava così felice... Io non avrei voluto svegliarti, ma la mamma..."

Mi afflosciai sul letto. Era stato solo un sogno. Niente di più. Iniziai a piangere, stringendo convulsamente fra le dita il bordo del lenzuolo.

Papà un giorno era partito, per un viaggio come tanti altri. Doveva andare in California, a Los Angeles. Non ci arrivò mai. Era in autostrada, quando un altro camionista, ubriaco e drogato, gli venne addosso con il suo furgone, bloccando la carreggiata. Era morto in ospedale, con una grave frattura alla spina dorsale e un trauma cranico.
La telefonata era arrivata di pomeriggio, alle 18. Ci eravamo fiondati in auto, eravamo in città, all'aeroporto. Quando eravamo arrivati a Los Angeles, lui non c'era già più. Era morto.

Ormai erano passati quattro anni dalla sua morte, eppure io non mi ero ancora abituata al fatto che non ci fosse più. In fondo avevo dodici anni quando era successo. Avevo sperato che tornasse, che fosse solo partito come tante altre volte, per poi tornare. Ogni giorno, per anni, avevo sperato di aprire la porta di casa, al ritorno da scuola, e di sentire la sua risata.

Mi mancava tanto, ecco. All'inizio non ci avevo creduto. Avevo pensato fosse uno scherzo. Poi, avevo pensato di non riuscire a sopravvivere dopo un avvenimento simile. Mi era sembrato di aver dimenticato come fare per respirare. E quando mi ero ricordata come si faceva, mi ero sentita incompleta. Mancante. Con il cuore che faticava a battere.

Piansi, aggrappata a Helen. Ogni volta che vedevo qualcuno per mano al padre, mi sentivo male e pensavo al padre che non mi aveva mai visto crescere. Al padre che non mi poteva consolare dopo quanto successo con Thomas la sera prima. Al padre che era morto, quando io avevo un tremendo bisogno di lui.

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SPAZIO AUTRICE :
Allora, è forse troppo triste, eccessivamente sdolcinato? Aiutatemi a migliorare la mia tecnica di scrittura! Grazieeeee!

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