Capitolo 40

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Allora si voltò verso di me, con una malinconia ben visibile dietro gli occhi chiari. Sorrise tristemente, con i suoi occhi puntati nei miei.

Mi morsi il labbro, come sempre in quelle occasioni di nervosismo. Mi sforzai di rimanere tranquilla come lui, ma non ci riuscivo affatto.

"Allora?" sussurrai angosciata e impaziente, appoggiando la mia mano su quella del mio futuro marito.

"Allora niente, piccola. Mi dispiace davvero, ma pare che io non abbia grandi aspettative di vita. Il tempo esatto non si sa, potrebbe essere un mese come un anno. Ma il mio destino è ormai segnato, se non si trova una soluzione" mormorò.

Arretrai di un passo, scandalizzata. Tom morire? A 27 anni? Eravamo matti? Non poteva, cioè, non era possibile. Tutto ciò non aveva senso, nemmeno un briciolo. Anche se io ero abbastanza avvezza alle assurdità, quella proprio non mi andava giù, non la comprendevo.

No.
No.
E poi no.

Non potevo smettere di ripeterlo a bassa voce.

No.
Noooo.
Nooooooooo!

E poi arrivarono le lacrime. Calde. E salate.

Non potevo fare a meno di pensare alla morte, a quel destino ingiusto che ci aspettava tutti. Ma che aspettava prima di tutti Tom.

Perché fra tutti i ragazzi del mondo, proprio lui? Non appena formulai quella domanda nella mia testa, mi vergognai subito. Se non avessi sofferto io, avrebbe sofferto qualcun altro. A qualcuno tocca. Ma egoisticamente avevi sempre pensato che fosse qualcun altro. Non noi. Non me. Perché Thomas ormai era parte di me, e una volta che fosse morto, sarei morta anche io con lui.

"Piccola, sshh, mi dispiace così tanto... Avrei dovuto dirtelo prima, così avresti potuto lasciarmi a cuor leggero..."
Incredibile. Lui stava per morire e io ero più debole di lui. Era lui che consolava me e non il contrario. Era inconcepibile.

Pensando a quanto male si dovesse sentire in quel momento, deglutii e soffocai al meglio possibile un singhiozzo in fondo alla gola.

"Tom..."
"Sì, piccola?"
"Sono così sciocca e debole, non meriti una persona che in una situazione del genere non fa altro che piangere, mentre il diretto interessato la consola... Non merito qualcuno di buono e profondo come te..."
"Ma che cosa dici, piccola?"
"Ma sai una cosa?"

Mi raddrizzai e lo guardai il più seriamente e fieramente possibile.
"Dimmi piccola"
"Non ti lascerò morire. Tu non morirai con me al tuo fianco. Tu vivrai fino a novant'anni con tanti nipotini seduti sulle tue ginocchia. Morirai dopo di me, nel sonno, dopo aver dato la buonanotte a uno scricciolo di cui sarai nonno. Non permetterò a nessuno di 'rubarti' contro la tua volontà e di 'rubarti' a me. E chissenefrega se la cosa in questione è la morte. Tu sei solo mio e mai suo. Non a questa giovane età"

Rise e mi strinse a sé. Solo in quel momento mi accorsi che aveva pianto. L'oscurità aveva nascosto le sue lacrime, ma ne aveva versate molte.

"I'll be always with you. Okay amore?"
"Okay piccola"
"Sempre"
"Ti amo"
"Non smetterò mai di amarti. Mai. Ricordatelo"

E ci baciammo. Un bacio può significare molte cose. Amore. Svago. Sfogo. Gioia.
Il nostro era un bacio di supporto. Significava che io c'ero per lui e lui per me. Sempre. Su quello non c'erano dubbi. Quando lui fosse caduto, io avrei allungato la mano per rialzarlo. Se io fossi caduta, appena sollevato lo sguardo avrei visto la sua mano pronta per tirarmi su.

Rientrammo in casa e mangiammo in silenzio. L'aria era pesante. La notizia era stata un colpo difficile da incassare. Una botta che mi aveva distrutta. Perché, nonostante cercassi di apparire forte, in realtà dentro di me non lo ero. Spesso succede così. Quelli che paiono più forti, sono spesso i più fragili. Come il vetro, sembra tanto duro, ma se cade a terra si distrugge in mille frammenti.

Quando andammo in camera da letto, ci sedemmo vicini sul materasso, con le nostre dita intrecciate. Stringevo con forza la sua mano, per paura di perderlo. Per paura che se ne andasse in quell'istante. Che mollasse la presa e si lasciasse cadere all'indietro esanime.

"Ora capisco perché si pensa che la vita sia come un filo. Si tende al massimo, sembra forte e robusto. Si intreccia ad altri fili e si annida in modo indissolubile come le nostre due vite. Neanche se ti impegnassi al massimo riusciresti a sciogliere i nostri fili. E poi... poi ad un tratto il filo inizia a logorarsi. A invecchiare e ad asssottigliarsi. Finché dal filo spesso di lana diventa quello sottile di seta. Fragile e minuscolo. Che se ti cade per terra non lo trovi più. E continua a consumarsi finché non si spezza. E si muore di vecchiaia.
Oppure si sfrega su uno spigolo, dimezza il suo spessore andando a contatto con le lame delle forbici. E presto anche quel filo di lana diventa di seta. Prima del precedente.
E infine ci sono i fili che vengono all'improvviso pizzicati dalle forbici. Senza ma e senza perché. Morte immediata. Nessun dolore. Il filo da robusto e forte diventa improvvisamente sottile, in un istante. E a quel punto, o rimane sottile e continua a esistere, oppure viene tagliato del tutto. E la vita viene troncata di netto."

Non avevamo mai parlato di quelle cose. Era la prima volta che mi faceva un discorso simile. Mi guardò e sospirò.

"Ok, sto delirando" sussurrò "Fermami quando vedi che il mio stato di salute mentale è a livello molto bassi"

"Cioè dovrei fermarti sempre?" ironizzai.

Ridemmo. Fu una risata liberatoria, completa di solletico e strilli soffocati dalle sue mani.

Ci infilammo sotto le coperte, abbracciati, con le nostre fronti a contatto.

"Dobbiamo vivere al meglio. Darci dentro. Fare tutto quello che non avevamo fatto finora. Godercela. Amarci. Divertirci. Ridere. E catalogare questo come uno dei periodi più belli della nostra vita" mormorai sulle sue labbra.

"Insieme" aggiunse.
"Ovvio, mai soli" replicai prima di abbassare le palpebre e abbandonarmi fra le braccia del sonno, cullata da braccia ben più terrene e reali.

Tom's pov
Una volta addormentata la osservai a lungo. Per imprimermi nella mente ogni singolo dettaglio del suo volto, del suo respiro, delle sue mani. Come se non la conoscessi già abbastanza.

Non riuscivo a dormire e non volevo alzarmi per paura di disturbarla. Pensare alla morte mi dava un senso di nausea. Avrei dovuto abbandonare la mia futura moglie. Il bambino/a che stava crescendo in lei. Lì avrei lasciati soli, privi di un padre e di un marito. La mattina dopo avrei potuto cercare Jonathan per chiedergli di occuparsi della mia famiglia dopo la mia morte.

In verità non avevo ancora detto niente a nessuno. Nemmeno del matrimonio che era in programma e che forse non saremmo riusciti a celebrare.

Beh, l'importante era stare con lei. Vicino a lei. Fino all'ultimo respiro. Pensai al bimbo/a che forse non avrebbe mai conosciuto il papà. Un dolore troppo forte mi attraversò. Quanto avrei voluto avere dei figli con Jess...

Basta, non ce la facevo più. Ero stremato, desideravo ardentemente di dormire, ma non riuscivo. Come sarà morire? Sembrerà di addormentarsi? Sirius Black in Harry Potter dice che è più facile che addormentarsi... Non avevo mai pensato alla morte prima di quel momento. Sperai che non fosse la vecchia incappucciata con la falce in mano. Avrei voluto che avesse il volto di Jess. Di Jack. Dei miei amici. Del bimbo che forse non vedrò mai. Avrei voluto vedere loro e i più bei momenti della mia vita, prima di sospirare per l'ultima volta e abbassare le palpebre, abbandonandomi all'oblio.

E fu veramente quello che vidi, prima di chiudere gli occhi.

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SPAZIO AUTRICE :
NOOOOOO! THOMAAAAS! NON MORIREEEEE! Che triste dover scrivere della morte, della morte di un proprio personaggio! Piango troppoooo! Basta, non riesco a scrivere altro. Al prossimo capitolo, ragazze, scusate, ma non ce la faccio più, devo prendere un fazzoletto... :(

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