Capitolo 38 - Male

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Quando mi svegliai la mattina dopo, mi sentivo strana. Come se ci fosse qualcosa di completamente sbagliato, qualcosa che non funzionava dentro di me. Thomas era già sveglio, sentivo i suoi passi fuori nel corridoio. Lui andava al lavoro prima di me. Programmava siti, applicazioni, aiutava chi aveva problemi con cellulari o computer, faceva da consulente per varie aziende... Pure la Facebook. Zuckerberg gli aveva detto che era il migliore in quel campo. L'aveva chiamato da lui più volte per sistemare delle "cose", di cui non mi intendevo affatto e che capivo ben poco. "Cose" generiche e inutili per una giornalista come me. Beh, certo, se avveniva una qualche novità dal campo informatico e tecnologico, ero sempre la prima della redazione a saperlo.

Mi alzai a fatica per andargli incontro e un dolore lancinante mi lacerò. Gemetti e mi risedetti sul letto, ansimando. Cercai di rilassarmi respirando lentamente, sperando che fosse solo un disturbo passeggero. Non volevo ammalarmi, non di nuovo! Ero stata male giusto due o tre settimane fa!

Perché avevo la salute cagionevole? Avevo ancora male, troppo per poter provare ad alzarmi di nuovo e salutare Thomas.

In ogni caso, arrivò lui da me.
"Ehy piccola, ben svegliata!" esclamò.
Mi accarezzò una guancia e sfiorò le mie labbra con le sue.

"Se vuoi, ho preparato uova e bacon oggi a colazione, volevo fare anche la..." si stoppò bruscamente.
"La...?" sussurrai.

"Non stai bene, piccola" non era una domanda, ma un'affermazione.
"Affatto bene, Jess" aggiunse, scrutandomi attentamente. Mi mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio, soffermandosi a sfiorare le mie tempie e i miei zigomi con il pollice, mentre il resto della sua mano era stretto contro la mia nuca.

Era incredibile quanto mi capisse velocemente. Intuiva il mio stato di salute prima ancora che io mi accorgessi di non star bene.

"Una cosa momentanea, credo..." mormorai sorridendo leggermente. In verità, ormai non credevo più a questa possibilità. Era un male diverso da quello di qualche giorno prima, più forte. Non un'influenza passeggera, mi pareva.

"No, piccola, non mentirmi. Tu stai davvero male. Coricati, ti porto dei cuscini per farti stare più comoda e... vuoi bere un bicchiere d'acqua o mangiare un pezzo di pane e marmellata...? Uova e bacon di sicuro no, rischieresti di stare peggio... Se ti senti la febbre, dimmelo che compro subito dalla farmacia all'angolo della tachipirina..." stava ancora parlando di cose simili, mentre si allontanava dalla mia stanza per prendere i cuscini, senza aspettare la mia risposta alle sue domande.

Lo amavo troppo, davvero. Soprattutto quando si preoccupava per me in quella maniera adorabile. Teneva a me, voleva che tutto fosse perfetto, il suo più grande desiderio era la mia gioia, la mia soddisfazione. E per tutti i suoi sacrifici pareva che un mio bacio, un mio sorriso, una qualche mia semplice parola, fossero il miglior modo che esistesse per ricompensarlo. Il dono che per lui era migliore.

Si sedette accanto a me, sul bordo del materasso, sprimacciando con un gesto materno i cuscini e rimboccandomi le lenzuola sotto il mento. Posizionò uno straccio imbevuto d'acqua fresca sulla mia fronte. E poi mi guardò.

"Non ti ho portato nulla da mangiare, credo che non ti farebbe così bene in realtà..." mormorò, sistemandomi i capelli. Me li pettinò accuratamente con le dita, per poi sporgersi e premere le sue labbra contro le mie in un semplice bacio a stampo.

"Rischio di contagiarti se mi stai così vicino" risi io.
"È l'unica cosa che voglio veramente, starti vicino. A che cosa servire altrimenti? Ho mandato un messaggio alla mia segretaria di annullare tutti i miei impegni mattutini. Rimarrò con te per mezza giornata. Al pomeriggio, però, ho una riunione veramente importante, ho cercato di posticiparla, ma..." spiegò.

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