Capitolo 43 - Famiglia allargata

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"Ally! Jack!" urlai correndo loro incontro. Avevo un bisogno tremendo di loro. Li strinsi tutti e due con forza.

Jacob era stravolto, le occhiaie contornavano i suoi occhi chiari ed era preoccupato.

"Come sta?"

Gli raccontai quello che mi aveva detto Arthur. Jacob si morse più volte le labbra e conficcò le unghie nelle braccia per evitare di piangere. Aveva già gli occhi lucidi e si vedeva che faticava a trattenersi.

Helen, da parte sua, non fece nessuno sforzo. Dalle mie prime parole, le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. In questo ci assomigliavamo. Incapaci di non piangere nelle situazioni più dolorose.

Parlare a loro della situazione di Tom non fece che peggiorare le cose. Mi ricordava ancora di più quanto fossi sul punto di crollare. Quanto la morte fosse vicina a lui, in attesa.

Ma non lo avrebbe avuto, no! Dovevi essere ottimista, nonostante tutto attorno a me dicesse il contrario. Speravo in Ally e Jacob per un conforto, invece erano messi anche loro proprio male.

Helen si allontanò da noi per parlare con Arthur, che passava rapidamente di lì.

Quindi, io e Jack eravamo di nuovo faccia a faccia. Mi ricordava tanto il percorso in auto dal mio paese a Roanoke, tanto tanto tempo prima. Ero appena diciassettenne, allora.

"Scusa" sussurrò.
"Per che cosa?"
"Perché sto per piangere come un bambino, quando tu devi essere messa anche peggio"
"Piangere non è da deboli. Significa che si tiene davvero molto a qualcuno. Che il sentimento che si prova nei confronti di qualcuno è talmente forte che il nostro cuore straripa.
E comunque, non mi hai vista prima! Fin'ora sono riuscita a piangere quasi ininterrottamente, a tentare un suicidio per poi fermarmi da sola, a svenire dalla debolezza e a parlare dei miei problemi a un dottore totalmente sconosciuto per me. Insomma, mi sono impegnata!"

Ridacchiammo insieme.

Si abbandonò fra le mie braccia, liberando le lacrime.

"Tom è l'unica persona della mia famiglia che mi resta"

"Ce la farà, Jack, lui è forte"

"Al contrario mio"

"Che cosa stai dicendo? Stai delirando? Tu hai avuto una forza incredibile, con tutto quello che è successo alla tua famiglia! Hai salvato Tom dalla sua depressione e dal suo mutismo! Hai soccorso tuo fratello in tutti quegli anni di malattia! E hai reso felice Ally, che grazie a te sorride come mai aveva fatto fuori dalla famiglia"

"Grazie Jess, sei unica. Capisco come mai mio fratello è disposto a tutto per te"

Dio mio, quanto volevo bene a quel ragazzo. Avevamo un legame proprio speciale. Per uno sconosciuto potevamo sembrare dei semplici amici, ma non era così. Da soli, eravamo capaci di discorsi seri e profondi. In compagnia, ci divertivamo a forza di battute stupide.

Sapevo di poter contare sempre su di lui e viceversa. Un anno prima, o forse due, ci eravamo scambiati delle collane. Tutte e due con un timone come ciondolo. La sua vecchia, nonché mia attuale, era di legno profumato. La mia vecchia e sua nuova era di metallo argentato.

Lui era un po' come il mio timone, che serviva per mantenere la rotta sempre dritta di fronte a me. Per non farmi perdere la strada. Per guidarmi al sicuro.

Mi fidavo ciecamente di Jacob e lui non aveva mai tradito la mia fiducia profonda.

Non avevamo bisogno di vederci sempre, di parlarci sempre. Noi comunicavamo nel silenzio e anche con la mente. Avevamo una connessione speciale per i casi di pericolo o bisogno. Ci capivamo al volo.

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