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Erica quella mattina era silenziosa come sempre, di solito non parlava almeno fino alla seconda ora, perché le giornate andavano messe in moto con calma, la vita era già abbastanza difficile senza mettersi fretta, pensava. Teneva le lunghe gambe stese sotto il banco, le braccia incrociate al petto e lo sguardo rivolto verso la finestra, durante l'ora di storia. Il professore stava interrogando e lei era già andata volontaria il giorno prima, quindi ora si poteva rilassare e pensare ai fatti suoi.  Fuori dalla finestra si vedevano degli alberi e il campo da basket all'aperto, che i cespugli stavano cercando di riprendersi, mangiando il cemento pezzo per pezzo. Contava mentalmente i mesi che mancavano alla fine dell'anno scolastico, ancora cinque, un'eternità. Frequentava il quarto anno di liceo, ancora un altro e avrebbe finalmente iniziato la sua vita. Sarebbe andata via di casa immediatamente, via da quella città troppo piccola e bigotta. Sarebbe stata finalmente libera di fare quello che voleva, mentre ora si sentiva in trappola. Lei avrebbe voluto frequentare il liceo artistico, ma i suoi genitori glielo avevano impedito, indirizzandola verso il liceo scientifico, perché era un istituto serio, dicevano. Nella vita non si dovrebbe fare quello che rende felici? Sua madre non lo capiva, lei e la sua stupida carriera da avvocato, che non le lasciava il tempo di far nulla. Lei non avrebbe permesso al suo futuro lavoro di divorarla. Non avrebbe permesso ad una relazione di annullarla. Lei avrebbe vissuto davvero. Adesso era solamente in pausa, in attesa che la sua vita potesse incominciare. La scuola era una dente da estrarre il più presto possibile. 

Sara le aveva dato una gomitata al fianco, per attirare la sua attenzione. "Che c'è?" Aveva chiesto stizzita.

"Sta per arrivare la supplente della Gallo" le sussurra l'amica.

"Un'altra?"

"Sì, quella riccia è rimasta incinta ed è andata in congedo"

"Quindi, ora abbiamo la supplente della supplente?" Ride Erica nel dirlo.

"A quanto pare..."

Erica si tira su a sedere composta nella sedia e si stiracchia, sistema i capelli ondulati dietro le orecchie, sono neri come i suoi jeans stretti, come le sue Vans, neri come la maglietta corta che le lascia una parte della schiena scoperta mentre si inchina per aprire lo zaino e tirar fuori l'astuccio e il quaderno di italiano. "Vediamo se anche questa sarà vecchia dentro come l'altra. Non potremmo per una volta avere una persona che ci fa leggere un libro decente?" 

Si china per raccogliere la penna che è rotolata sotto il banco, così la prima cosa che vede della professoressa Ferrari sono le scarpe, che sono degli stivaletti neri Chelsea con l'elastico laterale amaranto.  Erica con lo sguardo risale le gambe snelle avvolte in jeans stretti, tira su la schiena e si appoggia al legno freddo, gli occhi incollati su quella giovane donna che posa la borsa sulla cattedra, si volta verso di loro, incrocia le braccia e sorride. Ha i denti più bianchi di qualsiasi persona lei abbia mai conosciuto. I capelli a caschetto sono piccole onde dorate, gli occhi sono castani, ma così chiari che in principio le sembrano verdi. 

Nella classe cala un silenzio stupito, sicuramente tutti stanno pensando la stessa cosa, non l'hanno mai avuta una professoressa così giovane. 

"Buongiorno, io sono la professoressa Ferrari, starò con voi sino alla fine dell'anno. So cosa state pensando... ma non è il mio primo giorno di lavoro, quindi non mettetemi alla prova perché posso essere molto comprensiva, ma anche molto giusta... se necessario"

Il silenzio ora si può tagliare con un coltello. Erica deglutisce. Sara si avvicina al suo orecchio e le dice "che figa, questa ha le palle, ci divertiremo". 

Erica aggrotta le sopracciglia e i suoi occhi scuri, con la matita nera che li rende ancora più intensi, fissano quella figura snella cercando di classificarla. Avrà venticinque anni o giù di lì, sembra una ragazzina anche se è vestita da giovane donna, ha una voce ferma e calda, ha degli occhi attenti che si muovono per la stanza, guardando ogni viso, uno per uno. Quando giungono al suo, Erica smette per un momento di respirare e sostiene il suo sguardo. La professoressa inclina la testa, come nel tentativo di decifrare i suoi pensieri. Poi si siede sulla cattedra, con le mani tiene il ripiano in legno, le sue dita sono smaltate di rosso, così come rosse sono le sue labbra. Erica è già distratta, da quel colore troppo acceso, da quel profumo che si è sparso per la stanza, da quella voce vibrante che dice: "scommetto che non sarete sempre così silenziosi, mi godrò questo momento" e nel sorridere della sua stessa battuta illumina la stanza, l'edificio, la città, la galassia intera. 

Erica lo capisce immediatamente, che le sue giornate di scuola stanno per prendere una piega completamente diversa. Lo capisce dal cuore che accelera contro la sua volontà, dal respiro che non trova un ritmo accettabile, dal fastidio elettrico che le dà, sentire quegli occhi addosso. 





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